• La più grave tra le distrofie è protagonista di diverse sperimentazioni cliniche in tutto il mondo, Italia compresa. Ne parliamo con la Prof.ssa Marika Pane (Ospedale Gemelli – Roma)

    La Distrofia Muscolare di Duchenne (DMD) è una patologia neuromuscolare ereditaria rara, caratterizzata da una degenerazione progressiva dei muscoli del corpo. Sono diverse le strategie su cui i ricercatori stanno lavorando, dal contrastare la fibrosi al rinforzare il muscolo, e i centri clinici in cui si portano avanti le sperimentazioni sono sparsi in tutto il mondo, Italia inclusa. Uno tra i più attivi in questo ambito è il Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma e - grazie a un’intervista alla prof.ssa Marika Pane, Direttore dell’U.O.S. Dipartimento Centro Clinico Nemo Pediatrico – sperimentazionicliniche.it fa il punto sulla situazione della ricerca clinica dedicata alla malattia, con particolare attenzione a quella svolta nel centro d’eccellenza romano.

    La Duchenne, il tipo più grave e comune di distrofia muscolare, è caratterizzata da una degenerazione muscolare che peggiora nel tempo ed è causata da mutazioni nel gene che serve a produrre una proteina chiamata distrofina. Quest’ultima, assieme ad altre proteine, lavora per mantenere integrità e struttura delle fibre muscolari dei muscoli scheletrici e cardiaci. Se questa proteina non viene prodotta correttamente, i muscoli vengono progressivamente danneggiati, con sintomi che iniziano a essere evidenti fin dalla prima infanzia. Le mutazioni che causano la DMD generalmente non permettono la produzione di una distrofina funzionale, mentre le mutazioni che riducono soltanto la funzione della distrofina - ma permettono comunque la produzione della proteina - causano in genere una forma più lieve di malattia chiamata distrofia muscolare di Becker (BMD). Poiché il gene responsabile si trova sul cromosoma X, sia la DMD che la BMD colpiscono principalmente i maschi.

    AGIRE SULLE MUTAZIONI NONSENSO

    Tra gli approcci ormai noti, il primo che va descritto riguarda l’unico farmaco per questa patologia  attualmente in commercio in Europa (dal 2014) e rimborsato in Italia (dal 2021): si tratta di ataluren, destinato al trattamento della distrofia muscolare di Duchenne dovuta a mutazione nonsenso in pazienti deambulanti di età uguale o superiore ai 2 anni. È una molecola innovativa, prodotta da PTC Therapeutics, che permette di aggirare l’errore presente sull’RNA messaggero per produrre una molecola di distrofina funzionante, fondamentale per preservare le funzioni del muscolo. Quando il gene viene “letto” dai macchinari molecolari per produrre la proteina, infatti, crea una copia dell’informazione genetica, chiamata RNA messaggero. Agendo su questo, si può quindi modificare l’errata informazione trasmessa dal DNA e aggirarla. Ataluren è un farmaco che va somministrato per via orale ogni giorno in 3 dosi, dipendenti dal peso del paziente.

    RIDURRE LA FIBROSI

    Pamrevlumab è una molecola sperimentale sviluppata da FibroGen per contrastare la fibrosi in pazienti con distrofia muscolare di Duchenne. “Il trial clinico di Fase III è in corso e al Gemelli stiamo arruolando i pazienti ambulanti, mentre l’arruolamento per i non deambulanti è stato chiuso a fine febbraio, al raggiungimento del limite dei 99 pazienti”, commenta Marika Pane.

    RIDURRE L’INFIAMMAZIONE

    Tra le molecole in sperimentazione c’è anche givinostat, molecola sviluppata da Italfarmaco per contrastare l’infiammazione e favorire la rigenerazione del tessuto muscolare. Si tratta di un inibitore delle istonedeacetilasi(HDAC) che riduce l’infiltrazione di tessuto adiposo nel tessuto muscolare. “Il trial clinico è ancora in corso anche nel nostro centro, ma gli arruolamenti sono chiusi”, prosegue la professoressa.

    RINFORZARE IL MUSCOLO: “EXON SKIPPING” E TERAPIA GENICA

    Sono diverse le tecniche studiate per ridurre la fragilità muscolare, aumentando la massa e migliorando il metabolismo cellulare. Per produrre una versione più corta ma funzionante della proteina responsabile della produzione di distrofina si può procedere su due strade: lo skipping dell’esone e la terapia genica.

    Lo skipping dell’esone funziona come un “cerotto” che agisce a livello molecolare, proprio per produrre una proteina tronca ma funzionale e proteggere il muscolo dalla degenerazione. Ma come funziona? L’RNA messaggero subisce alcune modificazioni prima di proseguire nel suo percorso per la produzione della distrofina: una di queste consiste nella rimozione di piccoli pezzetti di informazioni non utili per la produzione delle proteine, chiamati introni. Restano così solo gli esoni, i segmenti che contengono le istruzioni per costruire le proteine. Le mutazioni che colpiscono le persone affette da DMD possono far mancare uno più esoni, portando a una lettura errata delle istruzioni per produrre la distrofina. Grazie allo skipping dell’esone, si possono mascherare gli esoni difettosi grazie all’utilizzo degli oligonucleotidi antisenso, piccole molecole che inducono la cellula a saltare uno o più segmenti. Diverse terapie di questo tipo sono in fase di studio e agiscono su segmenti diversi: questo perché, se si prende di mira un preciso esone, potrà funzionare solo nei pazienti che hanno la mutazione in quel punto.

    “Diversi sono i trial clinici attivi al Gemelli: quello per lo skipping dell’esone 53, farmaco chiamato golodirsen e prodotto da Sarepta, si è concluso e stanno iniziando l’uso compassionevole su alcuni pazienti. Attivo, con arruolamenti chiusi, anche il trial di Fase III per valutare sicurezza e tollerabilità a lungo termine di golodirsen o casimersen, farmaco che agisce sull’esone 45”, prosegue la prof.ssa Pane. “Lo studio di Fase III Essence, per valutare farmaci per lo skipping dell’esone 45 e 53 paragonati a placebo, è ancora in corso ma anche in questo caso sono chiusi gli arruolamenti”. Concluso invece lo studio su eteplirsen, anch’esso dedicato allo skipping dell’esone 51.

    “A breve dovrebbe ripartire il trial di Sarepta (9001 301 Embark), eliminando alcune mutazioni che si è visto essere particolarmente propense ad avere effetti collaterali. Dobbiamo ancora vedere i criteri di inclusione perché sono un po’ cambiati nel tempo: appena avremo la sinossi definitiva e i criteri definitivi, capiremo quanti e quali pazienti potremo arruolare e le tempistiche della sperimentazione”, spiega Pane.

    La terapia genica è una strategia terapeutica che ha lo scopo di ripristinare la produzione di una forma più piccola ma funzionale di distrofina: un vettore virale trasporta nelle cellule muscolari una forma ridotta del gene, che produce la cosiddetta minidistrofina. Una delle sue caratteristiche più importanti è il suo essere one-shot, ovvero basata su una singola somministrazione, cosa che migliorerebbe la qualità della vita dei pazienti rispetto alle terapie da somministrare quotidianamente o comunque spesso nel tempo. Sono ancora molte le domande a cui trovare una risposta, anche perché i risultati clinici derivano spesso da sperimentazioni su numeri piccoli di pazienti, ma la ricerca continua.

    Il trial multicentrico di Fase III con la terapia genica fordadistrogene movaparvovec (nota anche come PF-06939926), terapia genica prodotta da Pfizer, serviva a valutare sicurezza ed efficacia del trattamento in 99 bambini dai 4 ai 7 anni deambulanti, con risultati paragonati a placebo. Il Centro Clinico NeMo presso il Gemelli è stato il primo ad avviare la sperimentazione in Italia: sono stati arruolati 10 bambini in totale, anche se lo screening pre-trattamento è stato fatto su un numero più elevato di pazienti, per poi selezionare quelli che rientravano nei criteri di inclusione. “Ci siamo poi dovuti fermati a causa degli effetti collaterali ormai noti a tutti: a ottobre 2021, l’azienda ha infatti annunciato che, a causa alcuni eventi avversi riscontrati nella sperimentazione clinica, avrebbe modificato i protocolli con criteri di eleggibilità ancora più stringenti. Il trial era inizialmente diviso in gruppo placebo e gruppo trattamento e, dopo il primo anno, chi ha fatto placebo dovrebbe fare trattamento e viceversa. Ora bisognerebbe iniziare la seconda fase del trial ma, anche se dovesse ripartire, non sembrano previsti nuovi arruolamenti”, conclude Marika Pane.

    Le altre aziende che stanno portando avanti studi clinici sulla terapia genica – ma che non coinvolgono centri nel nostro Paese – sono Sarepta e Roche, che hanno collaborato in Europa per lo sviluppo di delandistrogene moxeparvovec (SRP-9001) ; Solid Biosciences con la terapia SGT-001, RegenXbio con RGX-202 e Genethon con la sua molecola GNT0004 (trial temporaneamente sospeso), tutti focalizzati sulla produzione di microdistrofina. Esiste poi un filone di ricerca dedicato alle strategie terapeutiche che puntano a trasferire nelle cellule muscolari dei pazienti dei geni che permettono di produrre in modo continuativo delle molecole antisenso progettate per indurre uno skipping duraturo di specifici esoni. Inoltre, non va dimenticata la terapia genica ex-vivo per la DMD, sviluppata dal gruppo di ricerca coordinato da Giulio Cossu (Università di Manchester): il trattamento sperimentale – il cui trial dovrebbe ripartire dopo un rallentamento causato dalla pandemia di COVID-19 – prevede il trapianto di cellule chiamate mesoangioblasti, prelevate dal paziente e modificate in laboratorio, capaci di differenziare in cellule muscolari.

    Gli approcci sono quindi molteplici: la distrofia muscolare di Duchenne è l’obiettivo di diversi studi clinici che vogliono trovare una strategia terapeutica efficace e in grado di contrastare l’inevitabile degenerazione muscolare caratteristica della malattia. Pazienti e famiglie di tutto il mondo restano in attesa dei risultati di queste ricerche, nella speranza che vengano raggiunti risultati soddisfacenti.

  • Un viaggio di più di mezzo secolo, partito dalle “semplici” scoperte relative al funzionamento dei diversi meccanismi che regolano l’RNA, fino ai vaccini a mRNA contro SARS-CoV-2

    Negli ultimi due anni l’RNA ha avuto finalmente il suo momento di gloria: considerato il “fratellastro” del DNA, da sempre più al centro dell’attenzione, si sta ritagliando uno spazio sempre maggiore nella ricerca e nella comunicazione pubblica. Grazie ai vaccini prodotti per contrastare la pandemia di COVID-19, e all’enorme investimento pubblico e privato nel settore, sono stati fatti notevoli passi avanti. Ma la storia delle terapie a RNA non è iniziata con il SARS-CoV-2: una recente review, pubblicata su Experimental & Molecular Medicine, ha ripercorso la storia e le applicazioni di queste terapie, con uno sguardo al futuro.

    I farmaci a base di RNA potrebbero essere una soluzione al trattamento di varie malattie, soprattutto quelle non trattabili con altre terapie note, e amplierebbe le possibilità nel campo della medicina personalizzata, utilissima ad esempio nel caso delle malattie ultra-rare.

    RNA HistoryUsare molecole a base di RNA per la modulazione di vie biologiche al fine di trattare una specifica condizione è il concetto alla base di questa tecnologia. Nel caso delle terapie a base di RNA messaggero (mRNA), un sottogruppo delle terapie a base di RNA in cui rientrano anche i vaccini contro il COVID-19, si tratta di produrre mRNA sintetico e iniettarlo nell’organismo con lo scopo di trasformare le cellule in piccole fabbriche di farmaci. Un’idea incredibilmente semplice, ma rivoluzionaria. I successi che sono stati raggiunti oggi sono il frutto di decenni di ricerca e sviluppo in questo campo: le scoperte chiave sono state diverse e ad oggi le terapie a RNA sono considerate una tecnologia indispensabile per la medicina del futuro.

    Le origine delle ricerche

    Prima che l’RNA messaggero diventasse un’idea multimiliardaria, era un’area di ricerca isolata e un percorso ad ostacoli per chi – come la scienziata ungherese Katalin Karikò – aveva deciso di concentrare la sua carriera nel settore. L'RNA è stato descritto per la prima volta come un protagonista chiave nel flusso di informazioni genetiche da Francis Crick (Nobel per la medicina nel 1962, condiviso con James Watson e Maurice Wilkins, per la descrizione della struttura del DNA) e fu poi confermato dalla scoperta dell'mRNA, che ha messo in evidenza l'importanza di queste molecole come messaggeri nella traduzione dell'informazione genetica. Il passo successivo fu quello di scoprire che due filamenti di RNA erano in grado di appaiarsi. Questa scoperta è stata fondamentale per la successiva identificazione dei microRNA (miRNA), piccole molecole di RNA che regolano l’espressione genica, e dell’RNA interference (RNAi), meccanismo in cui piccoli frammenti di RNA silenziano l’espressione dei geni.

    I primi approcci terapeutici

    Nel 1977 fu descritto lo splicing, quel meccanismo di maturazione della molecola di mRNA tramite il quale gli esoni, cioè i segmenti codificanti del DNA, vengono uniti uno con l’altro e gli introni, le parti non codificanti, eliminati. Attualmente è noto che diverse malattie sono collegate a un malfunzionamento di questo processo e la sua modulazione può essere ottenuta con farmaci a base di RNA. A questo si aggiunge la scoperta dei piccoli RNA interferenti (siRNA), che in poco tempo hanno conquistato la ricerca di molecole a scopo terapeutico e che pochi anni fa ha portato all’approvazione del primo farmaco a base di siRNA. La prima applicazione a scopo terapeutico degli oligonucleotidi antisenso (ASO) risale al 1978: una breve sequenza nucleotidica si lega all’mRNA e ne blocca la traduzione in proteina, in questa primo utilizzo per inibire la replicazione del virus del sarcoma di Rous. Furono necessari altri 20 anni per arrivare all’approvazione da parte della Food and Drug Administration del primo farmaco basato su un ASO.

    Bisognerà aspettare gli anni ’90 per i tentativi di produzione di proteine specifiche attraverso l’introduzione di mRNA esogeno nelle cellule, ricerche che hanno poi portato alla valutazione di questo procedimento per la produzione di vaccini. Le prime ricerche vennero fatte in campo oncologico e poi arrivarono quelle per le malattie infettive, fino ad arrivare ai giorni nostri e ai vaccini contro il SARS-CoV-2.

    Al di là degli aneddoti storici, è ormai risaputo che i farmaci a base di RNA presentano alcune caratteristiche vantaggiose, che li rendono candidati ideali per lo sviluppo di strategie terapeutiche innovative. Tra questi, le più importanti sono la capacità di colpire quasi tutti i componenti genetici della cellula; la produzione rapida rispetto ad altri farmaci; la longevità della molecola se modificata opportunamente; le possibili applicazioni nel campo delle malattie rare; e l’assenza di effetti genotossici significativi se paragonato alle terapie basate sul DNA.

    Le terapie già approvate

    In base alla struttura e alle modalità di azione di queste terapie è possibile classificare i farmaci a base di RNA in quattro categorie principali.

    • La prima è proprio quella degli oligonucleotidi antisenso, che modulano l’espressione degli RNA bersaglio attraverso un legame specifico alla sequenza obiettivo tramite diversi meccanismi d’azione. Diversi farmaci di questo tipo sono già stati approvati dalle agenzie regolatorie di diversi Paesi del mondo. Esempi sono mipomersen, per il trattamento dell’ipercolesterolemia familiare (approvato solo negli USA);  e inotersen, per l’amiloidosi ereditaria da transtiretina (hATTR). Inoltre, diverse sono anche le approvazioni degli ASO che agiscono sul meccanismo di splicing, come nusinersen per l’atrofia muscolare spinale, eteplirsen e golodirsen per la distrofia muscolare di Duchenne.
    • I siRNA sono un’altra tipologia e utilizzano la via endogena per modulare l’espressione dei loro RNA bersaglio. Ad oggi sono 3 le approvazioni concesse per i farmaci di questa categoria: patisiran per l’amiloidosi ereditaria da transtiretina (hATTR), givosiran per la porfiria epatica acuta, lumasiran per l’iperossaluria primaria di tipo 1 e inclisiran per l’ipercolesterolemia.
    • La terza categoria è riservata agli aptameri, particolari costrutti progettati per legare proteine specifiche e modulare la loro funzione. Ad oggi un solo farmaco di questo tipo è stato approvato dalla Food and Drug Administration: pegaptanib, sviluppato per la degenerazione maculare neovascolare correlata all’età.
    • Ultima classe è quella degli RNA messaggeri, che per il loro effetto terapeutico sfruttano il fatto che gli mRNA sintetizzati in vitro possono essere tradotti in proteine funzionali dalle cellule. Le modalità di azione sono due, dato che oltre alla classica integrazione di proteine mancanti o assenti, c’è anche l’opportunità di produrre vaccini contro malattie infettive o antigeni tumorali. Tra le approvazioni è impossibile non citare i due vaccini a mRNA contro COVID-19. Considerato il probabile aumento della circolazione di nuove malattie infettive in futuro e l'ovvia necessità di soluzioni a rapido sviluppo ed economiche per prevenirne la diffusione, c'è un forte argomento a favore del fatto che i vaccini a mRNA diventeranno un'arma fondamentale per queste epidemie. Per questo motivo, ma non solo, è probabile che continueremo ad assistere a un gran fermento nella ricerca e a un aumento degli studi clinici per valutare efficacia e sicurezza di queste terapie.

    I vantaggi dei farmaci a RNA sono notevoli e potrebbero essere una strategia terapeutica utile per le malattie rare, in cui personalizzazione e costi inferiori possono fare la differenza.

    Le prospettive sono buone ma ci sono ancora degli ostacoli da superare per ampliare l’utilizzo di questa tecnica. Una delle maggiori sfide per queste terapie è la somministrazione, che va dai meccanismi di targeting alla somministrazione diretta nell’organo bersaglio, passando per l’incapsulamento in nanoparticelle lipidiche. Obiettivo per il futuro è quindi quello di trovare metodi di somministrazione efficaci e in grado di raggiungere organi e cellule che attualmente restano fuori portata.

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