“Nell’ambito della ricerca clinica è sempre più forte l’esigenza di modelli di conduzione degli studi che abbinino alla qualità una maggiore flessibilità procedurale, più prossimità ai pazienti e possibilmente minori costi”
dichiara Gualberto Gussoni, direttore del Centro Studi FADOI, durante il suo intervento al webinar Digital Medicine per i farmacisti Ospedalieri “per questo, si parla sempre più spesso di studi decentralizzati che utilizzano ampiamente il digitale e che si rendono anche più adatti allo sviluppo delle nuove terapie digitali”.
Gli studi clinici decentralizzati (DCT — Decentralized Clinical Trials) sfruttano l’innovazione digitale per spostare sempre di più le attività della ricerca clinica verso il domicilio del paziente o in strutture a esso più prossime. Il paziente, in questa tipologia di studi, può ricevere i farmaci o i dispositivi medici sperimentali direttamente a casa ed essere monitorato attraverso gli strumenti di telemedicina, diminuendo o addirittura eliminando la necessità di spostarsi verso il centro di ricerca.
Nel 2021, la Fondazione Smith Kline e la Società Scientifica di Medicina Interna FADOI hanno promosso il progetto Decentralized Clinical Trials per l’Italia #DCTxITA per fare un’analisi sull’impiego degli studi clinici decentralizzati in Italia. Il progetto ha coinvolto 70 esperti e ha portato alla produzione dell’importante contributo editoriale Implementazione degli studi clinici decentralizzati in Italia: perché e come? pubblicato nel numero speciale 1/2022 della rivista Tendenze Nuove.
Nel documento viene fatta una panoramica sull’inquadramento regolatorio dei DCT in Italia, sugli aspetti positivi e quelli critici e sulle esperienze pratiche dal mondo della ricerca clinica.
Studi clinici decentralizzati e quadro normativo in Italia
Quello che emerge è che, come spesso accade, la giurisprudenza non lavora di pari passo con l’innovazione tecnologica e, seppur in Italia sia possibile svolgere studi clinici decentralizzati, non esite un regolamento specifico. Si fa, quindi, riferimento a una combinazione di normative di più ampio respiro come il Regolamento Europeo 536/2014 sulla sperimentazione clinica dei medicinali, il Regolamento Europeo 679/2016 sul GDPR e il Regolamento Europeo 745/2017 sui dispositivi medici.
“In questa condizione di relativa incertezza regolatoria è raccomandabile che i protocolli di studio e le istanze autorizzative per l’Autorità Competente e i Comitati Etici descrivano in maniera adeguata le caratteristiche operative dello studio per quanto riguarda le modalità applicate in maniera decentralizzata” spiega Gussoni. “Sono di fondamentale importanza soprattutto la definizione dell’interconnessione tra i vari attori degli studi decentralizzati come l’ente promotore, il centro clinico, i provider dei servizi esterni (es. trasporto) e i pazienti, e quella dei profili di responsabilità”.
Aspetti positivi e critici
Secondo le indagini svolte dall’Osservatorio Life Science del Politecnico di Milano su un campione di 38 aziende che hanno esperienza di studi clinici decentralizzati, i maggiori benefici riguardano la possibilità di:
- coinvolgere tipologie più varie di pazienti e in un numero più ampio,
- la capacità di raccogliere una più vasta quantità di dati,
- la riduzione dei tempi di sperimentazione e l’aumento dell’aderenza dei pazienti allo studio.
Importanti benefici che però sono controbilanciati da altrettanti aspetti critici come
- la richiesta di competenze digitali specifiche
- una gestione complessa degli aspetti legati alla privacy e alla sicurezza dei dati,
- la riduzione non così cospicua dei costi di ricerca e
- la compromissione del rapporto medico-paziente
- la mancanza del confronto tra pazienti.
“ll successo degli studi clinici decentralizzati dipenderà da una serie di fattori. Dovranno essere economicamente sostenibili per il paziente, il Sistema Sanitario Nazionale e le industrie coinvolte e dovranno essere normati in modo rigoroso ma non penalizzante. Inoltre, sarà importante promuovere l’alfabetizzazione digitale tra i cittadini e il personale sanitario e trovare il giusto equilibrio tra gli aspetti organizzativi e la dimensione sociale e relazionale dei pazienti” conclude Gussoni.