• Il Centro di coordinamento nazionale dei comitati etici territoriali per le sperimentazioni cliniche sui medicinali per uso umano e sui dispositivi medici comunica che lunedì 24 febbraio 2020 presso l’Auditorium Biagio d’Alba del Ministero della Salute - via Ribotta 5, Roma si terrà l’evento di confronto dal titolo “Promuovere la sperimentazione clinica in Italia. Il ruolo del Centro di Coordinamento Nazionale dei Comitati Etici”.

  • La ricerca clinica rappresenta un momento fondamentale per la promozione della salute nel Paese, per la possibilità di proporre e testare le più recenti innovazioni, e più in generale di fornire un impulso alla appropriatezza degli interventi sanitari. La legge 3/2018 ha tra i suoi principali obiettivi il riordino della normativa riguardante la ricerca clinica, e come tale rappresenta una rilevante opportunità di adeguamento del sistema di ricerca nel nostro Paese, per valorizzare le potenzialità esistenti e accrescerne la competitività in un panorama sempre più globalizzato e complesso.

  • Sono ormai passati quattro mesi dall’entrata in vigore del Regolamento Europeo 536/2014 sulla sperimentazione clinica ma in Italia si è ancora lontani dall’aver completato il necessario adeguamento normativo.

    Abbiamo già scritto sui ritardi con cui abbiamo approcciato la fatidica data del 31 gennaio 2022 e anche della modalità operativa transitoria che è stata organizzata per non escludere completamente il paese dallo scenario globale, ma l’attesa cresce e le aspettative del mondo della ricerca farmaceutica sono per una risoluzione definitiva della riorganizzazione normativa.

    L'interrogazione parlamentare

    Su questa linea si inserisce l’interrogazione parlamentare presentata lo scorso 4 maggio 2022 dagli onorevoliCarnevali, Lorenzin, De Filippo, Rizzo Nervo, Pini, Ianaro e Lepri che hanno chiesto al Ministero della Salute “quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere per dare completa esecuzione al regolamento (UE) 536/2014 sulla sperimentazione clinica con l'emanazione dei decreti attuativi mancanti della legge n. 3 del 2018.”

    Di seguito il testo completo:

    Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

    il 31 gennaio 2022 è diventato operativo il nuovo Sistema informativo per le sperimentazioni clinico (Ctis) previsto dal regolamento (UE) 536/2014 che disciplina i trial sui medicinali;

    al fine di realizzare il necessario coordinamento normativo con il regolamento 536/2014, la legge n. 3 del 2018 ha conferito la delega al Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per il riassetto e la riforma delle disposizioni vigenti in materia di sperimentazione clinica dei medicinali per uso umano ma ancora oggi la legge è in parte inattuata a causa dell'emanazione solo di alcuni dei relativi decreti attuativi;

    un «ecosistema normativo» favorevole allo sviluppo degli studi clinici determinerebbe importanti risparmi per il bilancio del Servizio sanitario nazionale: secondo i dati forniti da Fondazione The Bridge in uno studio sul valore della sperimentazione clinica, per ogni 1.000 euro investiti dalle aziende farmaceutiche nei trial clinici, Il Ssn risparmierebbe 2.200 euro per il minore uso di farmaci, con un vantaggio economico complessivo che supererebbe i 700 milioni di euro l'anno;

    con tale vantaggio economico si comprende come avere i farmaci del futuro significhi ottenere anche fondi economici potenzialmente utilizzabili per nuove risorse all'interno delle strutture sanitarie e non solo;

    come ricorda la ConFederazione degli oncologi, cardiologi ed ematologi la diminuzione dei trial clinici determina la riduzione del numero di pazienti che avranno l'opportunità di entrare in uno studio con trattamenti innovativi, un ostacolo alla crescita professionale dei ricercatori e minori investimenti da parte delle aziende farmaceutiche e produttrici di dispositivi medici;

    durante il primo anno di validità del regolamento, gli sponsor hanno la facoltà di sottomettere le nuove sperimentazioni seguendo gli standard precedenti o quelli aggiornati, ma dal 31 gennaio 2023 tutte le sperimentazioni dovranno essere sottomesse sulla base dei nuovi standard;

    trovandosi l'Italia in ritardo c'è il rischio che gli studi vengano condotti in altri Paesi europei, con una perdita di investimenti che secondo le stime dell'Altems dell'Università Cattolica di Roma si aggira tra i 75,5 e i 93,6 milioni di euro, pari al contributo dato dalle imprese al centri clinici attraverso la fornitura gratuita dei farmaci ai pazienti coinvolti e la copertura dei costi connessi ai trial –:

    quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere per dare completa esecuzione al regolamento (UE) 536/2014 sulla sperimentazione clinica con l'emanazione dei decreti attuativi mancanti della legge n. 3 del 2018.
    (5-08027)

     

    La risposta del Ministero della Salute

    La risposta del Ministero ripercorre gli atti fin qui intrapresi per l’applicazione della 536/2014, quindi i decreti attuativi finora approvati, quali:

    • decreto del Ministero della salute 30 novembre 2021 sugli studi clinici no profit e gli studi osservazionali, che ha abrogato il decreto del ministero della salute 17 dicembre 2004, recante «Misure volte a facilitare e sostenere la realizzazione degli studi clinici di medicinali senza scopo di lucro e degli studi osservazionali e a disciplinare la cessione di dati e risultati di sperimentazioni senza scopo di lucro a fini registrativi, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 14 maggio 2019, n. 52» GU Serie Generale n. 42 del 19 febbraio 2022; (di cui abbiamo parlato qui) 
    • decreto del Ministero della salute 31 dicembre 2021 recante «Misure di adeguamento dell'idoneità delle strutture presso cui viene condotta la sperimentazione clinica alle disposizioni del regolamento (UE) n. 536/2014» GU Serie Generale n. 71 del 25 marzo 2022;
    • decreto Ministero della salute 1° febbraio 2022 recante «Individuazione dei comitati etici a valenza nazionale», GU Serie Generale n. 63 del 16 marzo 2022. (Di cui abbiamo parlato qui)

    Nonostante ciò, rimane ancora lunga la lista di temi che attendono un’adeguamento normativo in linea con il regolamento 536/2014 e che sono tuttora in corso di approvazione, anche se non è specificato a quale stadio di sviluppo:

    • il decreto ministeriale sulla tariffa unica, a carico del promotore della sperimentazione con cui, tra l'altro, saranno definiti l'importo del gettone di presenza e l'eventuale rimborso delle spese di viaggio per la partecipazione alle riunioni dei comitati etici territoriali e dei componenti del Centro di coordinamento di cui al decreto del Ministro della salute 27 maggio 2021;
    • il decreto che apporta modifiche correttive e integrative al decreto del Ministro della salute 8 febbraio 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 24 aprile 2013;
    • il decreto ministeriale sull'individuazione e il riordino dei Comitati etici territoriali;
    • decreto ministeriale per la regolamentazione della fase transitoria fino alla completa attuazione del citato regolamento (UE) n. 536/2014, in relazione alle attività di valutazione e alle modalità di interazione tra il Centro di coordinamento, i comitati etici territoriali e l'AIFA.

    Pur rimanendo evidente il ritardo nella gestione di questa transizione normativa bisogna anche sottolineare come l’attuazione della "Proposta operativa di gestione temporanea delle sperimentazioni secondo regolamento 536/2014 nelle more della piena attuazione dei dm di riordino dei CE e tariffa unica», pubblicata sul portale AIFA lo scorso 31 gennaio 2022, abbia consentito di registrare alcuni studi multinazionali sul portale europeo CTIS.

     

    ATTO CAMERA

    INTERROGAZIONE A RISPOSTA IMMEDIATA IN COMMISSIONE 5/08027

  • Da Torino a Catania sono 6 i centri disponibili per i pazienti al IV Stadio o recidivanti

    Per le persone affetta da un Carcinoma polmonare non a piccole cellule metastatico, istologicamente confermato a istologia squamosa (SQ) o non squamosa (NSQ) di stadio IV A/B o malattia recidivante, è ora possibile partecipare ad uno studio clinico con combinazioni di farmaci biologici.

    Dal Nord al Sud d’Italia sono infatti 6 le strutture ospedaliere che hanno attivato lo studio denominato “A Study of Relatlimab Plus Nivolumab in Combination With Chemotherapy vs. Nivolumab in Combination With Chemotherapy as First Line Treatment for Participants With Stage IV or Recurrent Non-small Cell Lung Cancer (NSCLC)” e che prevede la partecipazione di 520 persone coinvolte in tutto il mondo, con 113 centri clinici complessivamente a disposizione.

    Lo scopo dello studio è capire se un utilizzo combinato dei due farmaci biologici, Nivolumab più Relatlimab, aggiunti alla chemioterapia standard a base di platino, possa dar luogo ad una maggiore risposta delle cellule T e se questo possa portare ad una maggiore sopravvivenza libera da malattia.

    IL TRATTAMENTO: IN COSA CONSISTE?

    Questo studio clinico di fase II è di tipo randomizzato e a triplo cieco. La randomizzazione  è una tecnica che permette ai partecipanti di avere la stessa probabilità di essere assegnati al braccio sperimentale o a quello di controllo, inoltre lo studio è a triplo cieco, ragion per cui nessuno tra paziente, somministratore della terapia e ricercatore osservatore è a conoscenza del trattamento ricevuto, somministrato e valutato. La modalità triplo cieco risulta essere il metodo migliore per ottenere risultati il più veritieri possibili e meno falsati da altri effetti confondenti.

    Il trattamento antitumorale con farmaci chemioterapici in doppietta per via endovenosa attualmente rappresenta la principale scelta terapeutica per il NSCLC in stadio IV.

    L’utilizzo in combinazione dei due farmaci immunoterapici Nivolumab (anti-PD-1) e Relatlimab (anti-LAG-3) potrebbe determinare un aumento dell'attivazione delle cellule T rispetto all'attività di uno dei due anticorpi da solo, ed è questo che la sperimentazione cercherà di verificare.

    I GRUPPI SPERIMENTALI

    Il protocollo terapeutico prevede due gruppi sperimentali e due fasi di trattamento.

    Nella FASE 1

    Il Gruppo Sperimentale A,viene sottoposto all’associazione di Nivolumab e Relatlimab (farmaci immunoterapici) alla dose 1 con la doppietta chemioterapica a standard base di platino (PDCT).

    Il trattamento chemioterapico standard si basa su una doppietta (due farmaci), composta da sali di platino (cisplatino o carboplatino), a cui si associa un secondo farmaco, scelto tra  pemetrexedpaclitaxel o nab-paclitaxel. Sono terapie che si somministrano in vena.

    Il Gruppo Sperimentale B, viene sottoposto all’associazione di Nivolumab e Relatlimab (farmaci immunoterapici) alla dose 2 con la doppietta chemioterapica a base di platino (PDCT) come sopra.

    Nella FASE 2

    Il Gruppo Sperimentale C, viene sottoposto all’associazione di Nivolumab e Relatlimab (farmaci immunoterapici) alla dose 2 o 1 (scelta in base all’andamento della prima fase) con la doppietta chemioterapica (PDCT) come sopra descritta.

    Il Gruppo di Controllo, viene sottoposto all’associazione di Nivolumab e Placebo con la doppietta chemioterapica (PDCT) come sopra riportata.

    ECCO CHI PUÒ PARTECIPARE

    Affinché lo studio possa essere svolto nel modo migliore, i partecipanti devono possedere dei requisiti adatti al trattamento terapeutico, ragion per cui, anche con l’aiuto del medico curante, i pazienti devono essere valutati idonei secondo dei parametri definiti dagli addetti ai lavori “criteri di inclusione ed esclusione”. In questo studio sperimentale possono partecipare le persone con:

    Criteri di Inclusione

    - Carcinoma polmonare non a piccole cellule metastatico istologicamente confermato a istologia squamosa (SQ) o non squamosa (NSQ) di stadio IV A/B (come definito dall’8° congresso dell’Associazione internazionale per lo studio della classificazione del carcinoma polmonare) o malattia recidivante in seguito a terapia multimodale per malattia localmente avanzata

    - Valutazione generale delle condizioni di salute del paziente secondo il punteggio dell'Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG) ≤ 1 confermata prima della randomizzazione: paziente sintomatico ma completamente ambulatoriale (limitato in attività fisicamente faticose ma ambulatoriale e in grado di eseguire lavori di natura leggera o sedentaria).

    - Malattia misurabile mediante tomografia computerizzata (TC) o risorse di risonanza magnetica (RM) in base ai criteri di valutazione della risposta nel tumore solido nella versione 1.1 (RECIST 1.1)

    - Nessun precedente trattamento antitumorale sistemico (compreso gli inibitori del recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR) e gli inibitori della chinasi del linfoma anaplastico (ALK) somministrati come terapia primaria per malattia in stadio avanzato o metastatica)

    Criteri di esclusione

    - Persone con EGFR, di ALK, di ROS-1 o mutazioni note del proto-oncogene B del fibrosarcoma rapidamente accelerato (BRAF V600E) sensibili alla terapia mirata disponibile

    - Persone con metastasi del Sistema Nervoso Centrale non trattate

    - Persone con metastasi leptomeningee (meningite carcinomatosa)

    - Persone con tumore maligno concomitante che richiede trattamento o anamnesi di precedente tumore maligno attivo entro 2 anni prima della partecipazione (ovvero, i partecipanti con anamnesi di pregressa neoplasia maligna sono idonei se il trattamento è stato completato almeno 2 anni prima della registrazione e il partecipante non presenta evidenza di malattia)

    - Chi è stato sottoposto ad un precedente trattamento con farmaci anti PD-1, anti – PD-L1, anti PD-L2, o anticorpi monoclonali anti CTLA-4 o altri anticorpi o farmaci mirati specificamente alla co-stimolazione delle cellule T o alle vie di checkpoint.

    GLI OBIETTIVI DELLA RICERCA

    Le misurazioni degli obiettivi degli studi clinici sono definite come primarie e secondarie

    Valutazione Primarie

    Nella Fase 1: Valutazione degli eventi avversi correlati al trattamento (TRAE) che portano all'interruzione entro 12 settimane dalla prima dose [Lasso di Tempo: fino a 10 mesi, dalla prima dose del primo partecipante].

    Nella Fase 2: Valutazione della sopravvivenza libera da progressione (PFS) secondo i criteri di valutazione della risposta nei tumori solidi (RECIST) v1.1 mediante revisione clinica indipendente in cieco (BICR) [Lasso di Tempo: 10 mesi dopo la randomizzazione, fino a 21 mesi]

    Valutazioni secondarie

    Nella Fase 1:

     

    • Incidenza di Eventi avversi correlati al trattamento che portano all'interruzione [Tempo: fino a 10 mesi, 30 giorni dall'ultima dose del partecipante]
    • Incidenza di eventi avversi (AE) [Tempo: fino a 10 mesi, 30 giorni dall'ultima dose del partecipante]
    • Incidenza di eventi avversi gravi (SAE) [Tempo: fino a 10 mesi, 30 giorni dall'ultima dose del partecipante]
    • Incidenza di eventi avversi (AE) selezionati [Tempo: fino a 10 mesi, 30 giorni dall'ultima dose del partecipante]

    Nella Fase 2

    • PFS secondo RECIST v1.1 di BICR in sottogruppi di biomarcatori [Tempo: Fino alla progressione, fino a 21 mesi]
    • Tasso di risposta globale (ORR) per RECIST v1.1 di BICR [Tempo: fino a 21 mesi)
    • Incidenza di eventi avversi (AE) [Tempo: fino a 21 mesi]
    • Incidenza di eventi avversi gravi (SAE) [Tempo: fino a 21 mesi]
    • Incidenza di eventi avversi (AE) selezionati [Tempo: fino a 21 mesi]

    DOVE PARTECIPARE: LE STRUTTURE OSPEDALIERE IN ITALIA

    ROMA
    Istituto Nazionale Tumori Regina Elena

    00144, Via Elio Chianesi, 53 telefono: 06 52661

     

    SIENA
    Network Italiano per la Bioterapia dei Tumori

    Viale Mario Bracci 16
    53100, telefono: 349 058 2533

     

    GENOVA
    Ospedale Villa Scassi

    Corso Onofrio Scassi, Genova Sampierdarena, 16149

     

    CATANIA
    Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico "G.Rodolico - San Marco"

    U.O.C. Oncologia Medica , Via Santa Sofia, 78
    95123  Telefono: 095 378 1977

     

    MILANO
    IEO - Istituto Europeo di Oncologia

    Divisione di Oncologia Toracica, Via Ripamonti 435
    20141 telefono: 02 574891

     

    CANDIOLO(TO)
    Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro

    Strada Provinciale, 142 -KM 3.95
    10060  Telefono: 011 993 3111

     

     

    ULTERIORI SPECIFICHE

    Il titolo ufficiale dello studio è: A Phase 2 Randomized Double-blind Study of Relatlimab Plus Nivolumab in Combination With Chemotherapy vs. Nivolumab in Combination With Chemotherapy as First Line Treatment for Participants With Stage IV or Recurrent Non-small Cell Lung Cancer (NSCLC)

    La descrizione del trial clinico è a disposizione anche nel sito di BMS https://www.bmsstudyconnect.com/it/it/clinical-trials/NCT04623775.html#trialSites 

    Per ulteriori informazioni è possibile contattare i centri clinici o i seguenti riferimenti:

    Bristol-Myers Squibb Clinical Trial participation, www.BMSStudyConnect.com 

    Email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

     

    Il codice identificativo dello studio su clinicaltrials.gov è NCT04623775. 

    Altri numeri identificativi dello studio sono: 2020-004026-31 (Numero EudraCT ); U1111-1256-8115 (Identificatore di registro: WHO); CA224-104 (codice aziendale).

    Lo studio prevede come data di fine il 23 settembre 2024.

  • Un elenco di nuove molecole da cui giungono dati interessanti

    Ci sono molte condizioni neurodegenerative nelle quali la perdita di neuroni in diverse aree del sistema nervoso centrale (o di quello periferico) può provocare gravi forme di patologia. Alcune sono molte note, come la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), la malattia di Huntington e l’Alzheimer, altre lo sono di meno, ma risultano ugualmente rilevanti per l’impatto sulla qualità di vita dei pazienti. Fra queste c’è l’Atassia di Friedreich (FA), una delle forme di atassia ereditaria  più frequenti.

    Atassia significa “perdita di ordine” e in neurologia questo termine descrive un disturbo dei movimenti volontari che diventano scoordinati, provocando principalmente perdita di equilibro e difficoltà nell’esecuzione dei movimenti, compresi quelli impiegati per l’articolazione della parola. 

    I neuroni colpiti sono soprattutto le cellule sensitive dei gangli spinali, e con esse, i fasci spino-cerebellari e il tratto cortico-spinale. Quello che succede nell’atassia è che le colonne posteriori e i tratti spino-cerebellari iniziano a degenerare perdendo connessione con altre aree del cervello deputate al controllo e alla precisione dei movimenti. “L’atassia di Friedreich colpisce soprattutto i giovani al di sotto dei 25 anni compromettendone la capacità di camminare e parlare e finendo col privarli dell’autonomia nel cammino nel giro di una decina di anni”, spiega la dott.ssa Caterina Mariotti dellUnità di Genetica Medica e Neurogenetica presso la Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano.

    “È la forma di atassia recessiva più frequente in Europa ed è causata  a livello genetico da un’espansione della tripletta GAA a livello del gene che codifica per la proteina denominata fratassina. Come risultato dell’alterazione genetica la proteina risulta fortemente deficitaria nei malati”.

    “Per molto tempo, si è cercato di affrontare l’atassia di Friedreich con farmaci che, sulla base di precedenti studi di laboratorio, avevano dimostrato di poter attenuare l’effetto dannoso sulle cellule  dovuto alla mancanza della proteina”, spiega Mariotti. Alcuni di questi farmaci, come l’idebenone, erano già in commercio per altre condizioni e sono stati quindi utilizzati nei primi studi clinici. Altri farmaci sono stati invece studiati in laboratorio specificamente per questa malattia e sono stati testati in anni più recenti, o sono tuttora in fase di sperimentazione. Tra questi, l’Omaveloxolone e il  Vatiquinone sono sperimentati anche in Italia. 

    OMAVELOXOLONE

    Pubblicati sulla rivista Annals of Neurology, i risultati dello studio clinico MOXIe hanno evidenziato il miglioramento della funzione neurologica raggiunto dai pazienti che hanno assunto il farmaco rispetto a quelli del braccio di controllo. 

    Lo studio randomizzato di Fase II è stato condotto su 155 pazienti affetti da atassia di Freidreich, provenienti da Stati Uniti, Australia, Regno Unito, Austria e Italia. Per poter essere inseriti nello studio i pazienti dovevano avere un punteggio basale compreso tra 20 e 80 sulla scala mFARS (modified Friedreichs Ataxia Rating Scale), impiegata per la valutazione dei sintomi di questa malattia. L’obiettivo primario dello studio consisteva proprio nella variazione del punteggio a 48 settimane dall’assunzione del farmaco. 

    I pazienti che hanno ricevuto l’omaveloxolone hanno mostrato una riduzione nel punteggio mFARS, mentre quelli nel braccio di controllo hanno subito un rialzo degli indici. La differenza tra i trattati e i non trattati era statisticamente significativa, con gli effetti più evidenti sotto il profilo della stabilità.

    La buona risposta osservata, soprattutto negli individui più giovani, potrebbe significare che l’omaveloxolone riesce a rallentare la progressione della malattia, ma sono necessarie ancora verifiche sulla effettiva efficacia del farmaco”, commenta Mariotti. 

    Il farmaco sviluppato da Reata Pharmaceuticals svolge la sua azione terapeutica sul fattore di trascrizione nucleare eritroide-2 (Nrf2) che, da diverse ricerche, è emerso essere diminuito (LINK ARTICOLO 2) nei pazienti con atassia di Friedreich: l’ipotesi degli studiosi è che un aumento di Nrf2 possa migliorare la funzionalità mitocondriale e ridurre lo stress ossidativo, portando un beneficio ai pazienti. 

    Sebbene lOmaveloxolone sia stato ben tollerato dalla gran parte dei malati, confermando il suo buon profilo di sicurezza, saranno necessari ulteriori approfondimenti. Secondo quanto riportato sul sito di FARA (Friedreichs Ataxia Research Alliance), un’organizzazione non-profit da anni impegnata nel promuovere la ricerca di una cura per questa malattia neurodegenerativa, la Food & Drug Administration (FDA) ha avanzato una richiesta di nuovi dati di efficacia a cui Reata sta rispondendo con l’aggiornamento delle informazioni  provenienti dallo studio di estensione di MOXIe e con un approfondimento dei meccanismi fisiopatologici legati all’atassia di Friedreich. 

    “Sembra che la FDA si pronuncerà entro i primi mesi del 2023 e che, se ci sono evidenze sicure di efficacia, entro la fine del prossimo anno la casa farmaceutica potrebbe sottomettere la domanda di approvazione anche all’ente regolatorio europeo”, precisa ancora Mariotti. 

    PTC-743 - VATIQUINONE

    Tra le molecole pensate per migliorare la funzionalità mitocondriale c’è anche il vatiquinone (o PTC-743 o EPI-743), sviluppato da PTC Therapeutics, che ha ottenuto la designazione di farmaco orfano per l’atassia di Friedreich sia da parte della FDA statunitense che dell’Agenzia per i Medicinali Europea (EMA). “Il vatiquinone è un’innovativa terapia in fase di sviluppo contro malattie pediatriche caratterizzate da elevati livelli di stress cellulare e infiammazione”, precisa la dott.ssa Alessandra Baroni, sr Director Medical Affairs di PTC Therapeutics. “Attualmente, il farmaco è in valutazione in uno studio di Fase III in corso sull’atassia di Friedreich e sulle convulsioni associate alla patologia mitocondriale. Entrambi gli studi clinici vengono svolti anche presso centri presenti sul suolo nazionale italiano. Infatti, con la partecipazione a numerosi trial, l’Italia ha svolto un ruolo decisivo nello sviluppo del vatiquinone”.

    L’obiettivo principale dello studio che sta valutando l’efficacia del vatiquinone rimane il cambio dei valori sulla scala mFARS rispetto al basale, con il miglioramento della capacità di deambulazione e di svolgere le normali attività quotidiane da parte dei pazienti. Ulteriore (ma non secondario) obiettivo del trial è quello della sicurezza del farmaco di PTC Therapeutics, la cui applicazione al trattamento dell’atassia di Friedreich era iniziata circa dieci anni fa e aveva portato alla pubblicazione sulla rivisita Neurology di risultati decisamente promettenti. 

    ELAMIPRETIDE

    Presso l’Ospedale Pediatrico di Filadelfia risulta in corso uno studio clinico di Fase I/II dedicato all’Elamipretide, una molecola che ha dimostrato di poter migliorare la funzionalità dei mitocondri, incrementando la funzione della catena di trasporto degli elettroni e la produzione di ATP e riducendo la formazione di radicali liberi. Il farmaco è stato sviluppato da Stealth Therapeutics.

    MIB-626 e FARMACI PRECURSORI DEl NAD+

    Oltre all’atrofia muscolare una delle conseguenze dellatassia di Friedreich è la cardiopatia ipertrofica, correlata alla possibilità di scompensi e aritmie. Il prodursi di difetti nel meccanismo di generazione dell’energia da parte dei mitocondri potrebbe avere una parte significativa nell’insorgenza di tali sintomi, perciò sono in fase di valutazione, in uno studio di Fase II, alcuni farmaci, fra cui MIB-626, cosiddetti precursori del NAD+.

    A questa categoria (di cui fa parte soprattutto la nicotinamide) è affidato un ruolo di primo piano in combinazione con l’esercizio fisico. La ricerca sui precursori del NAD+ porta, infatti, nella direzione di un miglioramento del consumo massimo di ossigeno (VO2 max), parametro che coincide con il volume massimo di ossigeno consumato nell’unità di tempo in fase di contrazione muscolare. Nei modelli animali in cui questi integratori sono stati testati - oltre ad esser sicuri e ben tollerati - producono un miglioramento della funzionalità muscolare: un altro studio clinico, in corso allOspedale Pediatrico di Filadelfia, potrebbe presto fornire interessanti sviluppi a riguardo. 

  • In occasione del lancio della 2^ edizione del Master in Metodi Statistici per la Ricerca Clinica e l'Epidemiologia, l'Unità di Statistica Medica dell'Università degli Studi della Campania "Luigi Vanvitelli" presenta un webinar su piattaforma Microsoft Teams.

    ? 10 Gennaio 2022, ore 15:00
  • Parte anche in Italia la ricerca clinica per i pazienti affetti da sindromi rare legate al gene PIK3CA.

    Prende il via anche in Italia lo studio clinico dedicato ai pazienti con condizioni di iperaccrescimento correlate a mutazioni del gene PIK3CA. A seguito di queste mutazioni, le sindromi PROS si caratterizzano per l’accrescimento eccessivo e asimmetrico di uno o più distretti del corpo. Ma mutazioni del gene PIK3CA sono state osservate anche in tumori. Non è quindi un caso che Alpelisib, il medicinale sperimentale in esame, sia un farmaco già autorizzato all’utilizzo contro il tumore al seno con mutazione PIK3CA, sia negli Stati Uniti che in Europa. Sviluppata dall’azienda Novartis, la molecola verrà in questo caso utilizzata in uno studio clinico che coinvolge oltre 30 centri clinici nel mondo, tra cui due italiani.

    Questa sperimentazione di Fase II segue i buoni risultati ottenuti con le precedenti ricerche, sia in laboratorio che su pazienti. In assenza di alternative terapeutiche in alcuni paesi il farmaco alpelisib viene già somministrato in regime di “uso compassionevole”, in attesa che il processo della ricerca clinica si completi.

    «La sperimentazione è importante, perché offre un’opzione terapeutica quando questa non c’è», spiega la dottoressa Paola Sabrina Buonuomo, pediatra esperta di malattie rare presso l’ospedale Bambino Gesù di Roma e tra le ricercatrici della sperimentazione: «I dati su questo farmaco già pubblicati sono stati positivi ed hanno portato l’azienda a proporre la sperimentazione. Ci crediamo e ci attendiamo buoni risultati, ma sarà tutto da verificare».

    COSA SONO le PROS

    Nelle PROS (condizioni da iperaccrescimento PIK3CA-correlate) si raggruppano una serie di differenti condizioni o sindromi, tutte caratterizzate da un accrescimento anomalo di qualche distretto del corpo. Fino al 2012 queste condizioni di malattia erano considerate separate e indipendenti. Lo scenario è completamente cambiato quando, grazie all’evoluzione delle analisi molecolari ed in particolare del Next Generation Sequencing (NGS), è stata identificata una causa comune a tutte queste manifestazioni di malattia. Si è infatti osservato che la presenza di numerose mutazioni nel gene PIK3CA influenza in modo sostanziale l’attività di una proteina coinvolta nei processi di crescita cellulare.

    LA RICERCA CLINICA

    Lo studio clinico è rivolto a pazienti sia pediatrici che adulti. In una prima fase saranno coinvolti bambini dai 6 anni di età e in una seconda fase «È prevista l’estensione in una fase successiva anche ad una fascia di bambini più piccoli, verosimilmente dai 2 ai 5 anni», continua la Buonuomo.

    Come vale per tutti gli studi clinici, la possibilità di partecipazione è legata a precisi parametri, detti anche criteri di inclusione ed esclusione. 

    «I criteri per accedere alla sperimentazione sono disciplinati da un protocollo molto rigido, come da prassi in questi studi. In questa fase possono accedere allo studio bambini con mutazione specifica ed in condizioni cliniche severe, che compromettono la qualità della vita in modo decisivo. Per esempio, pazienti affetti da ipertrofia grave ad un arto, tale da non permettere loro di camminare. Oppure pazienti con difficoltà respiratorie causate da una ipertrofia al volto».

    Una caratteristica importante dello studio è la comparazione del farmaco alpelisib contro un placebo. «Chi aderisce al trial accetta di avere due possibilità su tre che gli venga somministrato il farmaco ed una su tre di ricevere il cosiddetto placebo, ovvero una compressa simile al farmaco, ma priva del principio attivo. In questa fase, nemmeno i medici sono a conoscenza di chi riceverà davvero il farmaco. Tale procedimento è indispensabile per verificare l’efficacia del farmaco. La randomizzazione il processo di assegnazione casuale del farmaco -  dura sei mesi, poi anche chi ha inizialmente ricevuto il placebo, riceverà il farmaco. Nel primo anno, il più complesso, i controlli sono intensi ed impegnativi, ma si diradano nel corso del tempo fino ai 4 anni»

    L’IMPEGNO RICHIESTO AI PAZIENTI 

    Partecipare ad una sperimentazione clinica, fatti salvi i criteri di selezione precedentemente nominati, è un atto volontario che non comporta alcun costo per le terapie, anche se innovative. Sono però da mettere sicuramente in conto alcune giornate in ospedale per effettuare tutti i controlli richiesti dal protocollo di ricerca 

    «Innanzitutto viene richiesta una nuova ricerca molecolare di conferma, in alcuni casi su un campione fresco, ovvero una nuova biopsia cutanea», spiega uno dei responsabili del trial all'ospedale Regina Margherita, il professor Alessandro Mussa, pediatra dell'ospedale torinese e professore associato al Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche dell’Università degli Studi di Torino. «Il trial infatti richiede che venga confermata ulteriormente la mutazione del gene PIK3CA, vista la complessità di questa condizione genetica. Chi partecipa al trial dovrà anche essere sottoposto ad una serie di altri esami mirati ad ottenere un quadro quanto più preciso possibile delle condizioni cliniche. Sono previsti quindi esami del sangue, un’ecocardiografia, alcune visite e controlli in risonanza magnetica con i quali verranno monitorate le zone corporee che tendono a crescere esageratamente: tutto finalizzato a documentare e quantificare nel tempo gli eventuali miglioramenti o peggioramenti di queste alterazioni durante la terapia col farmaco ed a verificare l’assenza di ogni eventuale effetto collaterale». 

    I CENTRI IN ITALIA

    Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma 

    Si può contattare il centro dedicato all’iperaccrescimento scrivendo aQuesto indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

    Ospedale Infantile Regina Margherita della Città della Salute di Torino 

    Reparto di pediatria specialistica

     

    Per ulteriori informazioni è possibile anche fare riferimento anche allAssociazione Italiana Macrodattilia e PROS (AIMP).

  • Un gruppo di ricercatori statunitensi lancia l’allarme: una simile lacuna di informazioni può impattare negativamente su diagnosi e trattamento della malattia

    In uno studio pubblicato sull’Orphanet Journal of Rare Diseases, i ricercatori statunitensi della Johns Hopkins University di Baltimora hanno identificato una sostanziale mancanza di dati relativi all’etnia dei pazienti contelangectasia emorragica ereditaria coinvolti nelle sperimentazioni cliniche, un aspetto che potrebbe avere delle conseguenze sul trattamento e la diagnosi della patologia. La pubblicazione, una revisione sull’utilizzo del farmaco bevacizumab, conferma le già note preoccupazioni riguardo all’attuale progettazione dei trial clinici, che spesso escludono le popolazioni di pazienti meno rappresentate.

    LA MALATTIA

    La telangectasia emorragica ereditaria (HHT), anche nota come sindrome di Osler-Weber-Rendu, è una rara condizione ereditaria caratterizzata da dilatazione dei vasi sanguigni muco-cutanei (telangiectasia) e da malformazioni arterovenose viscerali che possono causare sanguinamenti e complicazioni a carico di diversi organi. Come spiegato sul sito della National Organization for Rare Disorders (NORD), la patologia è stata descritta per la prima volta da Henry Gawen Sutton nel 1864. Dato che la HHT ha sintomi simili a quelli dell'emofilia, le due malattie furono differenziate da Henri Jules Louis Marie Rendu solo nel 1896. Successivamente, William Osler accertò la presenza della HHT in alcune famiglie per stabilire che si trattava di un disturbo ereditario. Nel 1907, Frederick Parkes Weber continuò la caratterizzazione della malattia e due anni dopo fu coniato il nome di "telangectasia emorragica ereditaria”.

    La HHT è una malattia ereditaria, a trasmissione autosomica dominante, causata da diverse mutazioni genetiche (ad oggi sono cinque i geni coinvolti identificatiENG, ACVRL1, SMAD4, RASA1 e BMPR9), e colpisce maschi e femmine in egual misura. Il sanguinamento spontaneo e ricorrente dal naso (epistassi) è spesso il primo segnale della patologia, ma la malformazione dei vasi sanguigni può provocare anomalie ed emorragie a carico di polmoni, cervello, midollo spinale e fegato. I sintomi e la loro gravità variano da caso a caso e dipendono dal gene coinvolto. Nel 90% delle persone affette la malattia si manifesta entro i 40-45 anni, ma le epistassi ricorrenti iniziano a presentarsi durante la pubertà.

    La HHT è notoriamente sottodiagnosticata: infatti, stando ai dati sulla prevalenza della malattia (un caso su 6mila persone secondo Orphanet), i pazienti coinvolti dovrebbero essere più di un milione a livello mondiale ma le diagnosi effettive sono molte meno. Per questa patologia non c’è una cura, ma esiste una varietà di trattamenti per la gestione dei sintomi, in grado di migliorare la qualità della vita dei pazienti e prevenire le complicazioni potenzialmente letali. Con una diagnosi precoce e una terapia adeguata, le persone affette da HHT possono avere un'aspettativa di vita quasi normale. 

    LO STUDIO

    La revisione condotta dai ricercatori americani ha inizialmente identificato 79 studi clinici pubblicati aventi come oggetto l’utilizzo per via endovenosa del farmaco bevacizumab, un anticorpo monoclonale già usato come terapia per alcuni tumori, quale trattamento di “ultima istanza” per persone affette da HHT in forma grave: per l’analisi sono stati poi selezionati soltanto 4 studi clinici, condotti negli Stati Uniti tra il 2014 e il 2019, che hanno permesso di valutare i dati di 58 pazienti in totale.

    Pur fornendo informazioni su età, sesso e mutazioni genetiche dei pazienti, nessuno dei quattro studi selezionati ha riportato l'etnia dei partecipanti nei propri risultati, creando una lacuna potenzialmente grave nella capacità di comprendere l'efficacia di bevacizumab in popolazioni di pazienti con HHT di diversa razza. Simili disparità sono state identificate in precedenza anche in studi riguardanti malattie molto più diffuse, come il diabete o l’ipertensione. 

    Gli autori della ricerca sono consapevoli del limite intrinseco di un’analisi che riguarda soltanto 4 studi clinici, ma il campanello d’allarme è stato lanciato perché la mancanza di dati rilevata può influenzare l’efficacia dei trattamenti e il processo decisionale dei pazienti che si trovano ad affrontare una malattia cronica. Gli studiosi statunitensi sostengono che l'esclusione di informazioni demografiche ed etniche negli studi clinici potrebbe essere il risultato dei cosiddetti pregiudizi impliciti, ovvero di pensieri e azioni inconsapevoli che però portano a confermare stereotipi. Il timore dei ricercatori è che, se alcuni gruppi di pazienti restano sottorappresentati negli studi sulla HHT, le conoscenze relative alla diagnosi e al trattamento della patologia potrebbero essere distorte, creando difficoltà nello sviluppo di terapie specifiche e problemi etici nell’assistenza sanitaria.

    Le disparità nell’ambito della salute, specialmente in alcuni Paesi, sono il frutto di discriminazioni di lunga data e gli unici a pagarne le conseguenze sono i pazienti. Nel caso delle più comuni malattie croniche non trasmissibili (ad esempio diabete e ipertensione), le persone appartenenti a minoranze etniche continuano ad avere esiti di salute peggiori, anche in presenza di variabili sociodemografiche simili e nonostante i sostanziali progressi nelle terapie mediche per queste patologie.

    Al di là della HHT, il problema della rappresentatività nei trial clinici è ormai noto: basti pensare che la maggior parte delle sperimentazioni non include persone di sesso femminile, che rappresentano oltre il 50% della popolazione mondiale.

    Da ormai qualche anno si inizia a porre l’attenzione su questi problemi e l’auspicio è che si possa riuscire, in un futuro a breve termine, a condurre studi clinici quanto più rappresentativi possibile, per garantire un’assistenza sanitaria equa ed efficace per tutti.

  • Sono positivi i risultati di uno studio clinico che ha valutato l’efficacia di un  pancreas bionico nei pazienti affetti da diabete di tipo 1.

    I risultati del trial, pubblicati sulla rivista New England Journal of Medicine, evidenziano una riduzione significativa della percentuale di emoglobina glicata e un tempo di permanenza maggiore nel range glicemico target  rispetto a quanto ottenuto con le terapie standard.

    In base ai dati riportati sul sito del Ministero della Salute, circa 300.000 pazienti in Italia convivono con il diabete di tipo 1. Si tratta di una patologia cronica, diagnosticata generalmente durante l’infanzia o l’adolescenza  che diversamente dal tipo 2, obbliga alla terapia con insulina già a partire dalla diagnosi e per l’intera durata della vita. Il diabete di tipo 1 incide profondamente sulla routine quotidiana dei pazienti che, in misura maggiore rispetto ad altre patologie, sono coinvolti nella gestione della condizione. A causa dello sviluppo di anticorpi diretti contro le cellule beta del pancreas, i pazienti con diabete di tipo 1 sono quasi o totalmente incapaci di produrre insulina, un ormone che media il trasferimento del glucosio dal sangue alle cellule. La conseguenza del deficit è quindi un pericoloso accumulo di glucosio nel sangue, ovvero una iperglicemia, che deve essere gestita attraverso somministrazioni di insulina mirate a riportare i livelli di glicemia in un intervallo di normalità.  Considerando che oltre al contenuto in carboidrati presenti nei pasti, anche altri fattori, come l’attività fisica o lo stress, contribuiscono alle variazioni nei livelli della glicemia ematica, non è difficile immaginare quanto il controllo della patologia possa essere impegnativo e a volte complesso per il paziente.

    Verso l’automatizzazione dei dispositivi di controllo glicemici

    Grazie allo sviluppo di tecnologie avanzate, oggi sono disponibili dispositivi di nuova generazione per il controllo del diabete di tipo 1. Parliamo di sistemi di monitoraggio in continuo della glicemia (CGM)  in alternativa allo stick glicemico e microinfusori per la somministrazione sottocutanea continua di insulina in sostituzione alla terapia multi-iniettiva. Lo sviluppo di appositi algoritmi ha inoltre consentito di combinare le due tecnologie in dispositivi di ultima generazione, chiamati sistemi a circuito chiuso o pancreas artificiali, che stabiliscono con una certa autonomia quanta insulina erogare. Si tratta tuttavia di sistemi non ancora completamente automatizzati, che devono essere programmati inserendo parametri specifici per ogni paziente e che una volta operativi, dipendono dall’input dell’utilizzatore per stabilire la dose insulina da erogare in previsione dei pasti, che devono infatti essere preannunciati, specificando il quantitativo in carboidrati previsti. La messa a punto di sistemi che si avvalgono di tecnologie sempre più potenziate e con un grado di automatismo ancora più assimilabile alla funzionalità del pancreas sano, resta quindi un ambito della ricerca estremamente attivo e che non manca di offrire nuove proposte. 

    Il pancreas bionico

    Questo è il caso del pancreas bionico iLet, sviluppato dall’azienda statunitense Betabionic, che usa un algoritmo di ultima generazione per superare i limiti imposti dalle precedenti tecnologie. L’unico parametro necessario al dispositivo per entrare in funzione e modulare l’erogazione continua dell’insulina, infatti, è il peso del paziente. La gestione dell’insulina prandiale è automatizzata e coinvolge in minima parte il paziente, che deve solo segnalare se il contenuto in carboidrati previsto nella tipologia di pasto (colazione, pranzo o cena) sarà superiore, inferiore o in quantità abituale.

    Lo studio clinico

    L’attività del pancreas bionico è stata testata nell’ambito di uno studio clinico multicentrico in pazienti affetti da diabete di tipo 1 dal gruppo guidato da Steven Russel, del Massachusetts General Hospital. Il trial ha confrontato l’efficacia del dispositivo alle terapie standard in pazienti di età compresa tra 6 e 79 anni e in terapia con insulina da almeno 1 anno. In particolare, dei 326 partecipanti,  il 34% usava la terapia multi-iniettiva, il 31% sistemi a circuito chiuso ibridi, un altro 31% microinfusori non automatizzati e il 4% microinfusori con sistema PLGS (l’erogazione di insulina basale viene bloccata in previsione del raggiungimento entro 30’ di un evento ipoglicemico). All’inizio dello studio tutti i pazienti sono stati dotati di un dispositivo di monitoraggio della glicemia e assegnati, in rapporto 2:1, all’utilizzo del pancreas bionico o al proseguimento della terapia già in uso per un periodo complessivo di 13 settimane.

    I risultati raccolti hanno evidenziato il raggiungimento dell’obiettivo primario del trial, indicando una diminuzione dell’emoglobina glicata a 13 settimane nel gruppo assegnato al pancreas bionico (passata dal 7.9% al 7.3%) che è invece rimasta inalterata (7.7%) in quello che ha proseguito la terapia standard. Rispetto al principale obiettivo secondario, inoltre, il confronto della percentuale di tempo trascorsa con livelli di glucosio al di sotto dei 54mg/dl nei due gruppi, ha evidenziato una non inferiorità per il gruppo assegnato al dispositivo sperimentale. Inoltre, confermano una migliore performance del pancreas bionico anche i risultati di altre valutazioni tra gli obiettivi secondari dello studio che hanno indicato un livello medio di glucosio a 13 settimane più basso di quello riscontrato nel gruppo in terapia standard (-16mg/dl di differenza) e una percentuale di tempo maggiore e quantificabile in 2,6 ore in più al giorno, nel range di glucosio target, ovvero tra i 70 e i 180mg/dl. I pazienti assegnati al pancreas bionico, infine, hanno trascorso un tempo complessivamente inferiore in uno stato di iperglicemia senza mostrare alcun aumento nell’incidenza degli eventi di ipoglicemia.

    Rispetto alle valutazioni sulla sicurezza sono stati registrati 2 episodi di iperglicemia nel gruppo in terapia standard verso 214 eventi dello stesso tipo in quello assegnato al pancreas bionico che tuttavia nella quasi totalità dei casi sono stati valutati come riconducibili a un malfunzionamento nel set di infusione adottato nel dispositivo. Rispetto alle ipoglicemie gravi invece, gli autori dello studio indicano che non è stata evidenziata una differenza significativa nel tasso di questo tipo di eventi tra i due gruppi dove le segnalazioni sono state di 17.7 eventi di ipoglicemia grave  per 100 pazienti anno nel gruppo assegnato al pancreas bionico verso 10.1 eventi dello stesso tipo nei pazienti in terapia standard.

    La prossima sfida nell’ambito dei dispositivi per il controllo glicemico sarà lo sviluppo di sistemi ancora più automatizzati e biormonali, ovvero che aggiungano alla somministrazione modulata di insulina anche quella del glucagone (il secondo ormone prodotto dal pancreas) per migliorare il controllo dell’ipoglicemia. Per inciso, anche se non indagata dallo studio condotto dal team di Russel, la possibilità di somministrazione di questo ormone è tra le funzionalità previste per il pancreas bionico iLet.

  • Webinar - 10 gennaio 2022 ore 15

    https://www.alleanzacontroilcancro.it/

    Diretta sul canale Youtube

  • 11 LUGLIO (9.30 – 11) INCONTRO INFORMATIVO IN DIGITAL ORGANIZZATO DA OSSERVATORIO TRIAL.           

     

    Ad un anno dall’effettiva entrata in vigore del regolamento europeo sui dispositivi medici n.745/2017 per le aziende operanti nel settore, è ancora da vincere la sfida della transizione dal sistema precedente, basato su autocertificazione, a quello attuale, decisamente più vicino allo svolgimento di un vero e proprio trial clinico. In più non mancano segnalazioni di difficoltà e confusione sulle corrette modalità da adottare e sui costi da sostenere, probabilmente superiori rispetto al passato. Ad oggi, ad esempio, rimangono alcune perplessità sul sistema di approvazione dei software, ora da certificare come dispositivi, ma con modalità che non sono chiare nell’applicazione allo specifico campo. Perplessità che sono condivise tanto dalle aziende quando dalle CRO che, per quanto esperte nella sperimentazione clinica di farmaci, dovranno mettere a punto delle nuove modalità operative.   
    Al fine di analizzare cose viene previsto dalle nuove normative, evidenziare le certezze ormai acquisite ma anche i punti ancora irrisolti, condividere esperienze di gestione della transizione tra il modello del passato e l’attuale, l’Osservatorio Trial organizza un incontro digital rivolto in modo particolare alle aziende del settore.

    L’incontro informativo ha il patrocinio di Confindustria Dispositivi Medici, AICRO - Associazione Italiana Contract Research Organizatione S.I.Me.F. - Società Italiana di Medicina Farmaceutica

    Per poter partecipare all’incontro, nel corso del quale tutti i partecipanti potranno porre le proprie domande o portare le proprie esperienze a riguardo, è a disposizione il link

    SEGUI IL LINK PER VISUALIZZARE LA REGISTRAZIONE DELL'INCONTRO 

     

     2022.07.11 Programma Jpeg

  • Prof. Gino Gerosa (Padova): “L’obiettivo è migliorare l’attendibilità dei dati, facendo in modo che quanti sono arruolati negli studi clinici randomizzati abbiano caratteristiche sovrapponibili a quelle dei pazienti nel mondo reale”

     

    Il progresso nel campo del sapere e la crescente innovazione tecnologica stanno guidando l’evoluzione in molti settori della medicina, fra cui quello della chirurgia cardiovascolare. Tuttavia, la costruzione dell’edifico della conoscenza - e, più dettagliatamente, della pratica clinica - richiede attenzione a quei dettagli che, se trascurati, possono comportare errori tali da far crollare anche i piloni all’apparenza più solidi; questi ultimi sono costituiti dagli studi clinici i quali devono esser pensati e condotti tendendo conto di numerose varianti. Una delle più semplici è la differenza di genere: l’attenzione per le diverse modalità con cui una malattia si presenta nei due sessi o i differenti esiti di un dato intervento nella popolazione maschile e femminile hanno trascinato sotto i riflettori la medicina di genere.

    LA MALATTIA CORONARICA NEL SESSO MASCHILE E FEMMINILE

    Nel gioco di luci e ombre che ciò comporta è emerso un dato sconfortante in merito al differente tasso di arruolamento delle donne nei trial clinici. Pertanto, il primo studio di cardiochirurgia interamente dedicato alle donne vuole costituire una sorta di “esperimento pilota”, essendo destinato al miglioramento non solo della conoscenza nella realizzazione degli interventi di bypass aorto-coronarico (CABG), ma anche all’indagine delle caratteristiche di una popolazione di studio - quella femminile - che attualmente costituisce appena una modesta frazione del campione arruolato. Si tratta dello studio ROMA-Women, che riprende il quesito dello studio ROMA rivolto a capire se innesti arteriosi multipli costituiscano una soluzione migliore rispetto al singolo innesto nei pazienti sottoposti a bypass aorto-coronarico non urgente. La differenza sostanziale è che ROMA-Women si rivolge solo a pazienti di sesso femminile.

    Guido Gerosa“Nelle intenzioni generali gli studi prospettici randomizzati dovrebbero ridurre al minimo la probabilità di bias, cioè di distorsioni”, afferma Gino Gerosa, Professore Ordinario di Cardiochirurgia e Direttore del Centro di Cardiochirurgia Gallucci presso l’Azienda Universitario-Ospedaliera di Padova. “Tuttavia, le popolazioni di individui in essi arruolate rispondono a specifici e dettagliati criteri di inclusione che finiscono per ‘selezionarle’, allontanandole da quelle del mondo reale, solitamente fotografate dai Registri di patologia nei quali è raccolta tutta la casistica di popolazione giunta all’osservazione ospedaliera e sottoposta a una particolare procedura”.

    Per capire meglio il significato di ROMA-Women occorre riflettere su un dato ormai condiviso: quello dell’aumento di mortalità nelle pazienti di sesso femminile dopo infarto acuto del miocardio. “Le donne in età fertile sono protette dalle conseguenze della cardiopatia ischemica in forza del loro assetto ormonale”, prosegue Gerosa. “Purtroppo, dopo la menopausa tale effetto viene meno e la malattia ischemica finisce con l’avere esiti peggiorativi nelle donne rispetto agli uomini dal momento che il lume delle loro coronarie ha un diametro inferiore rispetto a quello dell’uomo e si osservano alterazioni del microcircolo che contribuiscono a indurre l’insorgenza di complicanze post-operatorie in grado di aumentare i tassi di mortalità e comorbidità in misura maggiore rispetto a quanto accade nel sesso maschile”. 

    Proprio da tali medesime differenze scaturisce anche la riflessione di Mario Guadino nel suo articolo di presentazione del trial ROMA-Women sulla rivista Circulation: le conclusioni di un lavoro apparso sulla rivista JAMA Surgery a cui ha partecipato lo stesso Gaudino confermano che su oltre 1,2 milioni di pazienti le donne sottoposte a CABG hanno un rischio di mortalità (e morbilità) operativa decisamente più elevato rispetto agli uomini e tale disparità non è minimamente cambiata nell’ultimo decennio, rendendo necessaria una più attenta revisione dei criteri diagnostici e operativi basati non solo sulle caratteristiche del campione maschile ma anche femminile. 

    UNO STUDIO CLINICO ATTENTO ALLE DIVERSITÀ

    In termini di evoluzione patologica, la malattia coronarica differisce nelle donne rispetto agli uomini essendo caratterizzata da disfunzioni microvascolari e vasospasmi coronarici che, aumentando il rischio di complicanze operatorie, non rendono ottimale l’apposizione di un bypass aorto-coronarico. 

    Il trial clinico ROMA era nato con l’idea di rispondere a uno specifico quesito clinico ma lo squilibrio tra i due sessi nelle fasi di arruolamento - attualmente la percentuale di donne inserite non supera il 15% e non è sufficiente a fornire dati significativi sul rapporto rischio/beneficio della procedura - ha condotto i ricercatori a dubitare che le risposte ottenute al termine delle analisi avrebbero potuto essere sovrapponibili per entrambi i sessi. Da qui è nata l’idea di uno studio tutto al femminile, orientato a ottenere una risposta decisiva nelle donne. 

    Sfruttando le infrastrutture già in uso per lo studio ROMA i ricercatori puntano così a sviluppare una piattaforma di analisi mirata che testi con rigore l’ipotesi di partenza anche tra le donne: l’organizzazione dei database, i moduli di registrazione dei pazienti e quelli per il consenso informato, il sistema di randomizzazione e le risorse utili per la formazione dei presidi coinvolti, finanche le approvazioni normative, i procedimenti del Comitato Centrale di Revisione degli Eventi e la rete di siti partecipanti saranno identici a quelli dello studio ROMA.

    ROMA-Women includerà le donne già arruolate nello studio ROMA, riducendo così le tempistiche del progetto, ma saranno impiegate strategie di arruolamento personalizzate per le donne e sistemi di analisi volti a comprendere le ragioni per cui alcuni centri arruolano più donne rispetto ad altri. “Spesso queste differenze dipendono dai reclutatori”, aggiunge Gerosa. “Bisogna porre la problematica al paziente nel modo giusto, perché questi possa comprendere le potenzialità dell’indagine proposta. La presenza di un nucleo di ricercatori esterni che rivaluti le procedure di arruolamento nei singoli centri sarà utile per fare luce anche sulle differenze di approccio ai pazienti”. Tutto ciò allo scopo di ridurre le eventuali distorsioni in fase di arruolamento. 

    ATTENZIONE ALLE MODALITÀ DI RECLUTAMENTO 

    A tal proposito, un interessante precedente storico legato ai potenziali bias che si possono generare negli studi clinici ha visto protagonista proprio la cardiologia: si tratta di STICH (Surgical Treatment of Ischemic Heart Failure) uno dei maggiori studi chirurgici della medicina moderna. “Con questo trial prospettico randomizzato si volevano offrire risposte sul trattamento dei pazienti con scompenso cardiaco su base ischemica, ma si finì col giungere a conclusioni diametralmente opposte rispetto alla pratica comune”, spiega Gerosa. “Lo scopo del trial STICH era confrontare i pazienti sottoposti a bypass aorto-coronarico con quelli in cui tale procedura era accompagnata da un intervento di rimodellamento del ventricolo sinistro. Ci si aspettava che questa seconda casistica producesse esiti migliori, invece la differenza tra le due popolazioni non risultò statisticamente significativa e un’analisi più dettagliata ha confermato come ciò sia dipeso in parte dall’esperienza dei chirurgi che praticavano l’intervento di rimodellamento ventricolare, in parte dalla selezione dei pazienti arruolati; infatti, quando era chiaro che avrebbero sicuramente tratto beneficio dalla tecnica di rimodellamento ventricolare, essi non venivano inseriti nel trial per non correre il rischio di vederli finire nel braccio di controllo, in cui tale pratica non veniva eseguita”. Ecco dunque che, in questo caso, in maniera più o meno involontaria, la distorsione dei risultati è stata prodotta proprio dagli stessi sperimentatori. 

    SMUSSARE GLI ANGOLI

    Ma come mai nel 2023 una delle fragilità più evidenti in fase di progettazione e conduzione di uno studio clinico sembra essere ancora la differenza tra genere maschile e femminile?

    “Nonostante in Europa come negli Stati Uniti ci si stia dando da fare per incoraggiare la presenza femminile nei trial clinici, lo squilibrio tra i due sessi rischia di generare ancora dati poco attendibili”

    conclude Gerosa. “Ben venga dunque un trial come ROMA-Women che ha l’obiettivo di limare le differenze e mira a ottenere il reclutamento negli studi clinici randomizzati di pazienti con caratteristiche il più possibile vicine a quelle del mondo reale, prendendo in considerazione tutti i sottogruppi, in maniera tale da applicare i risultati con estrema precisione alla popolazione”. Realizzare studi di costo-efficacia per farmaci e dispositivi medici su popolazioni nel quale a tutte le varianti viene assegnato lo stesso peso statistico sarà dunque fondamentale per portare ai malati - di tutti i sessi - soluzioni personalizzate, efficaci, sicure ed economicamente sostenibili per i servizi sanitari dei diversi Paesi. 

  • Cosa è il tumore al colon retto

    Il cancro del colon retto è molto frequente e racchiude tumori che interessano il tratto dell’intestino crasso e il retto. Quasi tutti sono adenocarcinomi (95%) che insorgono con la formazione di quello che viene comunemente chiamato “polipo”, una formazione a bottone che appare sulla mucosa intestinale. Questo polipo si può trasformare, estendere e crescere nella parete intestinale per poi diffondersi nel corpo.

    A che età ci si ammala

    È un tumore che si può presentare in ogni età ma l’incidenza aumenta in maniera importante tra i 40 e i 50 anni.

    Quali sono i fattori di rischio

    È difficile definire con precisione i fattori di rischio perché è una malattia di cui non si conosce perfettamente il meccanismo di insorgenza. Si ipotizza l’importante influenza del microbioma intestinale, la popolazione di batteri che popolano il nostro intestino, e si è notata una relazione tra una dieta ricca di grassi, proteine animali e carboidrati (ma povera di fibre) come possibile fattore di rischio.

    In circa il 20% dei casi il tumore colorettale ha una componente ereditaria.

    Alcune malattie come il morbo di Crohn o la colite ulcerosa possono aumentare il rischio di una formazione tumorale, anche in relazione alla prolungata presenza di queste patologie.

    È possibile fare screening 

    Fortunatamente è possibile effettuare degli esami di screening per il cancro del colon-retto in modo piuttosto semplice:

    Esame del sangue occulto nelle feci - un esame semplice che consente di avere una prima idea della situazione anche se non esclude completamente la possibilità di un tumore anche in caso di esame negativo. Questo esame dovrebbe essere idealmente eseguito ogni anno.

    Colonscopia - Questo esame può essere endoscopico o virtuale. Alla comodità della seconda opzione, che non richiede sedazione, si contrappone una sensibilità diagnostica minore e una impossibilità di rimozione immediata degli eventuali polipi identificati. La colonscopia endoscopica può essere eseguita ogni 10 anni. 

     Lo screening è altamente raccomandato dai 45-50 anni in poi.

    Quali i sintomi iniziali

    Il tumore colorettale è solitamente a crescita lenta e non causa sintomi immediati. La comparsa dei sintomi è anche condizionata alla posizione della lesione e alle differenze anatomiche del colon. I sintomi principali sono: emorragia, anemia o dolore addominale, fondamentalmente causato dall’ostruzione. 

    Il sintomo più comune rimane il sanguinamento nel corso della defecazione.

    Come si effettua la diagnosi

    Se si è riscontrata una positività nell’esame del sangue occulto è necessario sottoporsi ad una colonscopia endoscopica che dovrà rimuovere (se possibile) tutti i polipi che saranno di seguito analizzati istologicamente. Se l’esame conferma la presenza di cellule cancerose il paziente dovrà poi essere indirizzato ad esami clinici di approfondimento per definire l’estensione del tumore e la presenza di eventuali metastasi.

    Quali sono le terapie disponibili

    Quando possibile si interviene chirurgicamente per la rimozione delle zone interessate dal tumore. Quando indicato, viene anche utilizzata una terapia adiuvante, una terapia chemio o radio somministrata prima e dopo l’operazione chirurgica. 

    Quali gli studi clinici in corso?

    In questo momento (maggio 2022) sono attivi in Italia 76 studi clinici per il cancro del colon retto. Di questi:

    16 studi sono di tipo osservazionale e interessano temi come la biopsia liquida, immunoterapia o procedure chirurgiche

    61 studi sono di tipo interventistico in cui vengono valutate diverse terapie

    È possibile vedere qui la lista degli studi clinici disponibili.

    A chi mi posso rivolgere? 

    Per ulteriore aiuto organizzativo il paziente può rivolgersi ad importanti associazioni di pazienti come AMOC o AIMAC

     

    La sezione è stata sviluppata con il contributo non condizionante di

    bms logo rgb pos 150

     


     

  • La malattia di Crohn, anche conosciuta come morbo di Crohn, è una malattia che vede un aumento dei casi ma anche un forte sviluppo delle terapie disponibili. Per una panoramica sulla malattia e sulle terapie in corso di studio abbiamo raggiunto il prof. Flavio Caprioli,Professore Associato presso il Dipartimento di Fisiopatologia Medico-Chirurgica e dei Trapianti dell’Università degli Studi di Milano, Fondazione IRCSS Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.

    Prof. Caprioli, è vero che ci troviamo di fronte ad un aumento dei casi della malattia di Crohn?

    È una domanda che ha due risposte. Da una parte noi stiamo osservando un aumento dell’incidenza, ossia di nuovi casi per anno, sopratutto nella malattia di Crohn pediatrica, dall’altra stiamo osservando un importante aumento della prevalenza, cioè un aumento del numero di casi trattati per anno. Questo chiaramente accade poiché con un’incidenza elevata, ed essendo fortunatamente una malattia che non porta a morte, la prevalenza è progressivamente in accumulo.

    Questo aumento di nuovi casi per anno può essere legato agli avanzamenti, anche tecnologici, delle capacità di diagnosi?

    Può essere anche quello ma in misura limitata, diciamo intorno al 20% dei casi totali. In realtà quello che stiamo osservando è un aumento reale dell’incidenza.

    È possibile formulare delle ipotesi sulle cause di questo aumento?

    È un tema ovviamente oggetto di studio. Sicuramente è riferibile ad un elemento esterno e si pensa alla modificazione del microbioma, della flora batterica intestinale. Sono tre gli elementi su cui ci si sta principalmente concentrando:

    • dieta non regolata
    • eccessiva esposizione ad antibiotici
    • assunzione di edulcoranti o additivi alimentari

    Una flora batteria alterata può predisporre alla comparsa della malattia, in particolare in una persona geneticamente predisposta.

    C’è quindi una predisposizione genetica?

    C’è un’importante predisposizione genetica che aumenta del 20-30% la probabilità di ammalarsi, non è però una malattia la cui comparsa è strettamente legata ad una mutazione.

    La malattia oggi come viene curata? 

    Le terapie per la malattia di Crohn sono in continua evoluzione. Oggi sta sta osservando una sempre minore tendenza all’utilizzo di farmaci cortisonici o di immunosoppressori tradizionali, come il metotrexate ad esempio, che vengono ormai utilizzati in una minima quota di pazienti. Con l’avvento dei biosimilari e l’importantissimo abbattimento dei prezzi che abbiamo osservato negli ultimi anni, nella maggior parte dei casi il paziente viene avviato molto precocemente ad una terapia con un farmaco biologico biosimilare anti-TNF (infliximab o adalimumab i più utilizzati in prima linea). C’è però una parte di pazienti che non può effettuare questo tipo di terapia per controindicazioni legate a diversi fattori quali età, cardiopatie, presenza di neoplasie o altre malattie. In questi casi vengono utilizzati altri farmaci, sempre biologici ma non anti-TNF, come il vedolizumab e l’ustekinumab.

    Questi due farmaci vengono spesso utilizzati anche come trattamento di seconda linea nel caso in cui il paziente non risponda, o perda la risposta, alla terapia di prima linea.

    I risultati di queste terapie sono soddisfacenti?

     Quelli nominati sono farmaci che hanno una buona efficacia sia in prima che in seconda linea ma che lasciano ancora uno spazio di miglioramento terapeutico in circa un 30% di pazienti che a volte viene colmato dall’intervento chirurgico, che va sempre comunque considerato tra le opzioni terapeutiche.

    La ricerca attualmente su che cosa si sta orientando?

    La ricerca sulla malattia di Crohn si sta orientando molto verso due classi di farmaci, una dei quali è sostanzialmente l’evoluzione dell’ustekinumab e sono una serie di anticorpi selettivi verso il blocco dell’Interleuchina 23 (IL23) come il r. Inoltre ci sono dati recentissimi che dimostrano come questi pazienti rispondano bene all’utilizzo di un inibitore di JAK1, l’upadacitinib.

    La ricerca clinica sta già valutando questi farmaci?

     Si, certo. Inoltre abbiamo, finalmente direi, anche nella malattia di Crohn degli studi di confronto in cui questi nuovi farmaci anti-IL23 sono in sperimentazione clinica tutti in comparazione con il diretto competitore ustekinumab. Attendiamo a breve i risultati per questi studi.

     

    Qui gli studi clinici al momento attivi in Italia e che accettano pazienti

  • Un gruppo di ricerca americano, coordinato dal professor Arvind Dasari dell’Università del Texas, ha recentemente pubblicato su JAMA Network Open una revisione sistematica della letteratura scientifica che valuta l’impatto degli studi clinici di fase III sulla sopravvivenza complessiva dei pazienti affetti da carcinoma metastatico del colon-retto. Lo scopo era quello di analizzare come sono cambiati gli studi clinici di questo tipo nel corso del trentennio 1986-2016, individuare i fattori che sono legati a una maggiore sopravvivenza dei pazienti e suggerire miglioramenti nel disegno degli studi clinici perché siano al passo con i tempi  dell'oncologia di precisione.

    La revisione sistematica

    Una revisione sistematica della letteratura è uno studio di secondo livello che ha lo scopo di analizzare e riassumere, con una metodologia standardizzata e ripetibile, i risultati degli studi di primo livello allo scopo di rispondere a un preciso quesito clinico.

    Il gruppo di ricerca americano ha analizzato 150 studi clinici di fase III finalizzati a valutare l’efficacia di terapie antitumorali sistemiche su pazienti con carcinoma metastatico del colon-retto che hanno avuto luogo negli Stati Uniti tra il 1986 e il 2016.

    Per identificare le caratteristiche di questi studi legate a un aumento significativo (in questo caso considerato maggiore o uguale a 2 mesi) della sopravvivenza complessiva dei pazienti partecipanti, i ricercatori hanno confrontato i dati ottenuti dall’analisi degli studi selezionati, che comprendono 77494 pazienti, con quelli di 67126 pazienti trattati con chemioterapia, ricavati dal database SEER (Surveillance, Epidemiology and End Results) del National Cancer Institute statunitense, che raccoglie i dati di circa il 35% della popolazione americana ed è considerato una buona fonte di informazioni sull'epidemiologia e la sopravvivenza dei malati di cancro.

    In ogni caso questa revisione sistematica presenta dei limiti che devono essere considerati, come l'esclusivo utilizzo del database SEER che pur essendo considerato una buona fonte di dati non è esaustivo.

    I risultati dell'analisi

    É emerso che solo il 46,6% degli studi clinici analizzati ha raggiunto l’obiettivo primario previsto dal protocollo dello studio, e solo il 26,5% degli studi ha visto un aumento della sopravvivenza complessiva superiore ai 2 mesi, evidenziando come il raggiungimento di un risultato positivo in termini statistici non sia legato necessariamente al beneficio clinico. 

    Nonostante ciò è stato osservato un miglioramento della sopravvivenza dei pazienti affetti da cancro metastatico del colon retto, soprattutto per quelli che facevano parte dei bracci sperimentali degli studi nei quali venivano testati farmaci di prima linea di trattamento (incremento di 5,7 mesi in 10 anni).

    Dove migliorare?

    L'analisi mostra come gli studi nei quali vengono testate terapie di terza linea e oltre, nonchè gli studi finanziati interamente dalle case farmaceutiche, siano quelli meno frequentemente associati a un aumento della sopravvivenza. 

    Nel corso del periodo 1986-2016 si è anche assistito a una riduzione della ricerca su nuove molecole e target terapeutici, tanto che è aumentata dal 28% al 50% la percentuale degli studi che prevedono l’utilizzo di combinazioni o nuovi dosaggi di farmaci già approvati.

    Inoltre, è molto basso il numero di studi clinici che valutano la sopravvivenza e i benefici clinici a lungo termine e questo rende più difficile associare l’aumento della sopravvivenza complessiva con l’efficacia della terapia farmacologica, visto che ulteriori benefici potrebbero derivare anche dai miglioramenti nella diagnostica e nella chirurgia del tumore metastatico del colon-retto.

    Secondo i ricercatori americani è quindi importante disegnare degli studi clinici di fase III per la terapia del carcinoma metastatico del colon-retto che conducano a un effettivo aumento della sopravvivenza complessiva a lungo termine. Per questo è necessario sviluppare una maggiore comprensione dei meccanismi patogenetici, utilizzare sofisticati strumenti di ricerca traslazionale e lavorare su nuove molecole dirette contro nuovi bersagli terapeutici.

     

     

    Articolo di riferimento:  https://jamanetwork.com/journals/jamanetworkopen/fullarticle/2792599

     

     

     

  • Per quanto la ricerca scientifica abbia fatto passi da gigante negli ultimi decenni, le differenze di sesso e genere sono ancora poco considerate nel disegno degli studi scientifici, nella raccolta dei dati, nell'elaborazione dei risultati e nella comunicazione scientifica in generale. 

    Nel 2020, la Commissione Europea ha dichiarato che avrebbe richiesto a tutti i destinatari delle sovvenzioni del programma Horizon Europe, che gestisce un budget di 95,5 milioni di euro, di incorporare una specifica analisi per sesso e genere nel disegno delle ricerche, diventando così il primo grande finanziatore a incentivare l'inclusività nella ricerca.

    I passi per colmare il divario di genere, però, devono essere compiuti anche dagli altri due importanti pilastri della ricerca scientifica: le università e le riviste scientifiche. Secondo un editoriale pubblicato su Nature poco dopo l'annuncio della Commissione Europea, le riviste scientifiche avrebbero dovuto incoraggiare i ricercatori e le ricercatrici a rendere più inclusiva la metodologia di ricerca, richiedendo l'analisi dei dati legati a sesso e genere come requisito per la pubblicazione.

    Nonostante alcune riviste seguano questa direzione già da diversi anni e ci sia stato un effettivo incremento del numero di studi più inclusivi negli ultimi vent'anni, il gender research gap continua a persistere e, soprattutto, rimane insufficiente la disaggregazione dei dati basati su sesso e genere.

    Pochi giorni fa, rispondendo al suo stesso appello di un paio di anni prima, la rivista Nature ha comunicato di aver alzato l'asticella in fatto di inclusività.

    D'ora in poi, tutti i ricercatori e le ricercatrici che intendono inviare i loro articoli alle riviste del gruppo Nature (Nature, Nature Communications, Communications Journals and Nature Partner Journals) dovranno dichiarare le modalità con le quali il sesso e il genere sono stati considerati nel disegno dello studio e, nel caso questi non siano stati presi in esame, verrà chiesto loro di chiarirne i motivi. Inoltre, dovranno essere forniti i dati disaggregati per sesso e genere.

    La variazione al codice etico della politica editoriale di Nature, che si basa sulle linee guida SAGER (Sex and Gender Equity in Research), verrà quindi applicata a tutti gli studi che prevedono la partecipazione di esseri umani o altri vertebrati e a quelli che si svolgono su linee cellulari. 

    Lo stesso editore, comunque, avverte di essere cauti nella comunicazione delle evidenze ottenute dall'analisi del sesso e del genere per evitare eventuali conseguenze negative, soprattutto quando queste possono avere un impatto sociale e politico.

    Perché analizzare le differenze di sesso e genere?

    La salute può essere influenzata sia da differenze biologiche (sesso) che socio-economiche nonché culturali (identità di genere). Pur con la stessa malattia, persone di sesso e genere diverso possono avere incidenza, sintomatologia e gravità diverse.

    Eppure la medicina e la ricerca biomedica ancora faticano ad abbandonare il genere maschile come standard di riferimento.

    Considerare il genere femminile solo come una deviazione dal maschile può portare a un'alterazione della conoscenza riguardante la complessità dei processi fisiologici e patologici conducendo talvolta a risultati catastrofici.

    L'esempio più eclatante è quello avvenuto negli Stati Uniti. Tra il 1997 e il 2001 sono stati ritirati dieci farmaci, otto dei quali a causa degli effetti collaterali che si manifestavano con una gravità maggiore nelle donne. Queste differenze, con ogni probabilità, erano state ignorate a causa dell'insufficiente o inappropriata analisi dei dati riguardanti sesso e genere durante gli studi clinici che ne avevano consentito la commercializzazione.

    Gli indizi sull'importanza di includere i dati sulle differenze di genere nella ricerca clinica sono innumerevoli. Le donne, per esempio, se colpite da infarto del miocardio hanno una probabilità più alta di morire perché presentano sintomi diversi, meno conosciuti e riconoscibili, rispetto a quelli che da sempre sono considerati lo standard, ovvero quelli tipici del maschio. Inoltre, maschi e femmine differiscono per il funzionamento della risposta immunitaria, fattore che rende le donne più suscettibili allo sviluppo di malattie autoimmuni e alle reazioni avverse ai vaccini e gli uomini più esposti alle malattie infettive.

    La ricerca di genere non è la ricerca a favore delle donne 

    Incentivare l'approccio di genere nella ricerca non significa solo studiare meglio le donne. Sappiamo, infatti, che alcune patologie come le malattie respiratorie in età pediatrica o la malattia di Parkinson sono più frequenti nei maschi mentre altre, come l'osteoporosi sono più frequenti nelle donne. La disaggregazione dei dati in base a sesso e genere potrebbe agevolare la conoscenza del reale impatto di queste malattie sui due sessi e permettere un intervento terapeutico più mirato.

    La ricerca basata sui dati di genere è quindi importante non solo per migliorare la comprensione dei fattori determinanti la salute e la malattia in senso più ampio ma rappresenta anche un anello di congiunzione fondamentale verso una maggiore equità di accesso alle cure ed una medicina sempre più focalizzata sulle caratteristiche del paziente.

  • 11 LUGLIO (9.30 – 11) INCONTRO INFORMATIVO IN DIGITAL ORGANIZZATO DA OSSERVATORIO TRIAL.           

     

    Ad un anno dall’effettiva entrata in vigore del regolamento europeo sui dispositivi medici n.745/2017 per le aziende operanti nel settore, è ancora da vincere la sfida della transizione dal sistema precedente, basato su autocertificazione, a quello attuale, decisamente più vicino allo svolgimento di un vero e proprio trial clinico. In più non mancano segnalazioni di difficoltà e confusione sulle corrette modalità da adottare e sui costi da sostenere, probabilmente superiori rispetto al passato. Ad oggi, ad esempio, rimangono alcune perplessità sul sistema di approvazione dei software, ora da certificare come dispositivi, ma con modalità che non sono chiare nell’applicazione allo specifico campo. Perplessità che sono condivise tanto dalle aziende quando dalle CRO che, per quanto esperte nella sperimentazione clinica di farmaci, dovranno mettere a punto delle nuove modalità operative.   
    Al fine di analizzare cose viene previsto dalle nuove normative, evidenziare le certezze ormai acquisite ma anche i punti ancora irrisolti, condividere esperienze di gestione della transizione tra il modello del passato e l’attuale, l’Osservatorio Trial organizza un incontro digital rivolto in modo particolare alle aziende del settore.

    L’incontro informativo ha il patrocinio di Confindustria Dispositivi Medici, AICRO - Associazione Italiana Contract Research Organizatione S.I.Me.F. - Società Italiana di Medicina Farmaceutica

    Per poter partecipare all’incontro, nel corso del quale tutti i partecipanti potranno porre le proprie domande o portare le proprie esperienze a riguardo, è a disposizione il link

    SEGUI IL LINK PER VISUALIZZARE LA REGISTRAZIONE DELL'INCONTRO 

     2022.07.11 Programma Jpeg

  • Digital for Clinical Day 2022

    22 novembre 2022, dalle 8.45 alle 18 – Aula Carlo de Carli, Politecnico di Milano

    PER INFORMAZIONI SU COME PARTECIPARE E PER DETTAGLI SULL’EVENTO: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

    Digital clinical day 2022

    Digital clinical day programma 2022

  • Durante questi anni di pandemia da coronavirus si è assistito a repentine variazioni nei settori della sanità pubblica e della ricerca biomedica che hanno dato nuova linfa vitale all’innovazione permettendo di cogliere nuove opportunità e accettare le sfide del futuro della salute.

    Con l’aumento del numero di assistiti, soprattutto quelli in età più avanzata, e una riduzione delle risorse economiche e umane destinate ai sistemi sanitari è necessario accelerare la transizione al digitale e sarà sempre più importante focalizzare l’attenzione in particolare sulla prevenzione, sulla capacità di predire l’andamento delle malattie e sulla personalizzazione dei trattamenti.

    Per andare in questa direzione non si potrà fare a meno di una delle risorse meno sfruttate dai sistemi sanitari: i pazienti. Oltre a fornire la loro esperienza da fruitori dei servizi sanitari e le idee per migliorarli e innovarli,

    i pazienti sono un’incredibile fonte di dati che possono essere raccolti ed elaborati a vantaggio di tutti.

    Come sottolinea Alberto E. Tozzi, ex direttore dell’Unità innovazione e percorsi clinici dell’Ospedale pediatrico Bambin Gesù, nel suo libro "Impazienti — la medicina basata sull’innovazione “non ci accorgiamo di essere seduti su una miniera d’oro e ancora non siamo in grado di sfruttare il mare di informazioni che ci circonda. […] Dovremo avere sistemi efficienti in grado di estrarre dati, combinarli tra loro, valutarne la qualità e consentire rapide analisi.”

    DIGITAL TWIN

    Una delle idee che sta prendendo piede negli ultimi anni in questo ambito è quella dell’applicazione del concetto ingegneristico di digital twin in medicina. Il digital twin o gemello digitale è stato descritto nel 2018 da Cimino et al. come una copia virtuale di un sistema fisico che è continuamente aggiornata con i dati più recenti raccolti per mezzo di sensori.

    Si tratta di un clone digitale di un oggetto, un prodotto, un processo o un sistema che permette, in particolar modo, di predirne il comportamento grazie alla continua monitorizzazione.

    L’applicazione in medicina di questo concetto viene chiamato digital patient. Un paziente digitale è una copia virtuale di un paziente che viene costruita basandosi sui dati raccolti da diverse fonti, da quelle strettamente mediche, come le analisi di laboratorio e le immagini radiologiche, fino a quelle che comprendono apparecchi indossabili come gli smartwatch o le applicazioni degli smartphone.

    La grande differenza tra un gemello digitale di un oggetto e un paziente digitale sta nel fatto che mentre per un oggetto si ha a disposizione il progetto originale e quindi si conosce lo stato di partenza delle diverse componenti ed è più facile sapere quali dati raccogliere per studiarne l’evoluzione, per un paziente è praticamente impossibile ottenere dati e informazioni che riguardano ogni singola cellula a partire dal concepimento.

    Nonostante il paziente digitale possa rappresentare quindi solo una parte del paziente reale, questa tecnologia può migliorare la capacità di predire i risultati degli studi clinici e aiutare a promuovere un cambio di paradigma in medicina: dall’approccio reattivo a quello preventivo.

    IL PAZIENTE VIRTUALE NELLA RICERCA CLINICA

    Il paziente digitale comprende al suo interno il virtual patiento paziente virtuale, un insieme di modelli e simulazioni che permettono di ricreare processi fisiologi e patologici che avvengono all’interno di una persona in carne e ossa. È possibile creare un paziente virtuale per il settore farmacologico, che quindi simula processi che riguardano l’assunzione di un farmaco, oppure per il settore dei dispositvi medici che ricrea quei processi legati all’effetto di un apparecchio su un organo o tessuto.

    Il paziente virtuale, quindi, può teoricamente essere usato per predire, per mezzo delle simulazioni, dati clinici riguardanti l’efficacia e la sicurezza di un farmaco o di un apparecchio su un dato paziente o su gruppi di pazienti con caratteristiche simili.

    Per questo motivo, il paziente virtuale potrebbe diventare un importante alleato della ricerca clinica potendo sostituire, per esempio, l’impiego di volontari sani nei gruppi di controllo oppure prevedere gli eventuali effetti indesiderati dei farmaci sui partecipanti a uno studio, consentendo ai ricercatori di evitarne la comparsa modulando la somministrazione del farmaco.

    IL FUTURO

    Per ora questo approccio è promettente dal punto di vista teorico ma lo sviluppo della tecnologia è ancora allo stadio embrionale. Le applicazioni nella ricerca clinica e nella medicina sono scarse a causa dell’elevato costo delle tecnologie necessarie, della carenza delle infrastrutture utili alla raccolta dati e del problema di privacy che ne consegue.

    Lo sviluppo di internet, l’invenzione degli smartphone, l’intelligenza artificiale e altre rivoluzioni digitali degli ultimi decenni ci hanno però insegnato che nulla è impossibile e che l’innovazione scorre veloce e inesorabile. Riusciremo a vedere anche la nascita del nostro gemello digitale?

© 2024 Sperimentazionicliniche.it | All Rights Reserved | Testata in attesa di registrazione presso il tribunale di Roma | Powered by VicisDesign