• Oligonucleotidi antisenso (ASO) ma anche terapia genica e altre molecole attualmente in fase di studio, alcune delle quali per somministrazione orale. Ne parla la dott.ssa Caterina Mariotti (Milano).

  • Nel corso dell'ultima settimana osserviamo un'aumento del numero complessivo di studi clinici che al momento sono 93.

  • Al giorno 8 Marzo 2020 risultano attivi 77 studi clinici, esaminane le caratteristiche con il nostro grafico interattivo.

  • Da ieri in Europa, con la messa online del portale CTIS (Clinical Trial Information System), è possibile gestire uno studio clinico seguendo le procedure dettate dal regolamento europeo 536/2014. L’Italia però non si è fatta trovare pronta a questo appuntamento ed è uno di quei pochissimi paesi (3 su 27) che devono ancora adeguare la propria infrastruttura organizzativa alle linee della nuova normativa.

    La lista dei problemi ancora da affrontare è lunga e in questo articolo potete trovare un’analisi dettagliata, poi ripresa anche da Gian Antonio Stella in un suo recente editoriale sul Corriere della Sera.

    Un editoriale, quello di Stella, che è stato richiamato anche ieri nel corso del convegno “La Ricerca Clinica in Italia e il Regolamento Europeo: Partiamo!” promosso da AFI (Associazione Farmaceutici Industria) FADOI (Società Scientifica di Medicina Interna) GIDM (Gruppo Italiano Data Manager) SIMeF (Società Italiana di Medicina Farmaceutica).

    In questo contesto è emerso chiaramente il grido di allarme, se non di vero dolore, di chi tutti i giorni lavora per la ricerca e per i pazienti, nonostante il sospetto di una sostanziale “indifferenza delle istituzioni verso la ricerca” come ha sottolineato Marco Vignetti, presidente della Fondazione GIMEMA. 

    Che questa indifferenza esista ma sia poco giustificabile lo ha chiarito Marco Zibellini, direttore della direzione tecnico scientifica di Farmindustria, il quale ha ricordato come la ricerca clinica muova investimenti per circa 700 milioni di euro l’anno solo dal punto di vista finanziario, senza poi contare l’enorme impatto sul miglioramento della gestione amministrativa, organizzativa e di erogazione delle cure presso i reparti ospedalieri coinvolti. Esistono già analisi che dimostrano come il valore della ricerca clinica finanziata, ricordiamolo, quasi esclusivamente dall’industria privata, si tramuti addirittura in un guadagno per il Servizio Sanitario Nazionale. Oltre a questi numeri economici bisogna anche ricordare il grandissimo valore della produzione scientifica che, per quantità e qualità, pone i nostri ricercatori tra i migliori a livello mondiale. 

    Quale che sia il motivo, è certo che oggi il sistema della ricerca clinica si ritrova a fronteggiare un danno difficilmente calcolabile al momento, ma certamente enorme. “L’Italia è già fuori dagli studi che partiranno a Aprile-Maggio e le cui pratiche di sottomissione iniziano ora” sottolinea Zibellini.

    Ieri sera, però, AIFA ha pubblicato un documento con una proposta operativa di gestione temporanea delle sperimentazioni secondo la 536/2014. Questa prevede che si possa procedere con una domanda parziale di autorizzazione della sperimentazione, la cosidetta parte I, quella centralizzata europea per intenderci, per poi completare la parte II, di cui sono responsabili i singoli stati membri, in una modalità provvisoria.

    In assenza dei decreti attuativi, infatti, uno degli aspetti chiave della mancata riforma italiana rimane la riorganizzazione dei Comitati Etici. Per ovviare a questo, la proposta temporanea di AIFA prevede che "Il comitato etico incaricato della valutazione della sperimentazione in qualità di comitato etico unico nazionale viene identificato tra quelli dei centri NON coinvolti dalla sperimentazione stessa.Quindi, la proposta di studio dovrebbe essere valutata da un Comitato Etico “tra quelli attualmente esistenti, disponibili a valutare su base volontaria le domande di sperimentazione presentate nel portale europeo.

    Quali siano questi Comitati Etici non è però dato saperlo, poiché nel comunicato si rimanda ad una lista non ancora disponibile e che presumibilmente apparirà nei prossimi giorni in questa pagina. Inoltre, in assenza di esplicite indicazioni da parte dello sponsor (responsabile dello studio clinico) il Comitato Etico per la valutazione verrà scelto direttamente da AIFA “mediante l’applicazione di un algoritmo che consente una adeguata rotazione rispetto ai centri di sperimentazione e comitati etici già coinvolti in precedenza e previa comunicazione al Centro di Coordinamento dei comitati etici, con particolare riferimento ad eventuali sperimentazioni di maggiore sensibilità per indicazione o complessità”.

    Nella definizione e scelta del Comitato Etico ricade anche il problema della tariffa da corrispondere che, da ieri 31 gennaio 2022, dovrebbe essere unica per tutto il territorio nazionale. Anche in questo caso AIFA propone di utilizzare un doppio canale per la gestione del dossier (parte I e II). Per quanto riguarda la tariffa unica in Italia si propone: "Il promotore può tuttavia procedere al pagamento in soluzione unica anche della quota relativa al comitato etico incaricato di valutare la domanda di sperimentazione in base alle tariffe attualmente in vigore per ciascun Comitato etico, nei casi in cui il Comitato etico sia già individuato. Nel caso in cui il Comitato etico non sia stato ancora identificato, la quota relativa al Comitato etico potrà essere integrata con una seconda rata di pagamento, la cui attestazione potrà essere caricata nel portale europeo in fase di validazione della domanda o, in alternativa, come risposta alle considerazioni durante la fase di valutazione."

    È, purtroppo, abbastanza evidente come tutto questo sistema di gestione provvisoria sia piuttosto complesso, con un alto grado di incertezza legato alla “volontarietà” dei singoli CE regionali, alla distribuzione dei carichi di lavoro e al successivo trasferimento delle pratiche dal CE provvisorio al CE competente una volta che il sistema andrà (quando?) a regime. 

    Su tutto ciò aleggia il rammarico per una situazione che si sarebbe potuta facilmente evitare e di cui non sono ancora chiari i contorni nel futuro poiché anche ieri è stato ricordato come il precedente riordino dei Comitati Etici in Italia richiese circa due anni per la completa attuazione. Un fosco scenario che oggi appare insostenibile.

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    PROGRAMMA 

    Legge c.d. Gelli- Bianco: la funzione ‘ordinatrice’ delle legge.

  • I dati mostrano che, nonostante la crescente necessità, gli anziani sono poco coinvolti negli studi clinici, anche in quelli delle malattie tipiche delle fasce di età più avanzate.

  • Segnali di apertura da parte della Food and Drug Administration verso la sperimentazione clinica che riguarda i trapianti di organi animali in essere umani.

    Sebbene finora non siano stati condotti studi clinici formali sugli xenotrapianti, negli ultimi mesi diversi medici hanno eseguito procedure straordinarie, singolarmente autorizzate dai comitati etici. Alla fine del 2021, infatti, il trapianto di reni di maiale su due pazienti cerebralmente deceduti ha decretato l’inizio di questo cammino, poi proseguito con un trapianto di cuore su una persona gravemente malata. Se nel primo caso si trattava di persone considerate legalmente morte, nel secondo si trattava di una persona viva ma senza alcuna possibilità di sopravvivenza, motivo per cui è stata comunque concessa l’autorizzazione a procedere. Alla fine di questo complesso percorso dovrebbe esserci l’introduzione degli xenotrapianti nella pratica clinica, ma prima di giungere a quel punto è necessario condurre sperimentazioni cliniche per studiare a fondo tali procedure. Da quando è stato possibile dimostrare la fattibilità di questa tecnica – sebbene in casi unici – i ricercatori hanno iniziato a richiedere all’ente regolatorio statunitense di autorizzare trial clinici dedicati.

    Il numero di persone in attesa di trapianto è molto alto e il problema riguarda pazienti in tutto il mondo: da qui l’urgenza di trovare una soluzione alternativa, in grado di sopperire alla mancanza di organi umani da trapiantare.

    I ricercatori che lavorano in questo settore sperano che gli xenotrapianti possano contribuire a salvare più vite.

    Tra le varie questioni aperte, resta da scoprire se un organo proveniente da animale possa essere in grado di tenere in vita a lungo termine un essere umano altrimenti senza speranza. Prima di arrivare a considerare lo xenotrapianto come pratica clinica standard, è però necessario rispondere alle molte domande rimaste senza risposta, specialmente quelle che riguardano i rischi dello xenotrapianto in sé.

    La situazione attuale

    Attualmente, i dati disponibili sono derivati dai trapianti di organi di maiale in primati non umani, ma questi test hanno dei limiti: se l’obiettivo finale è arrivare al trapianto nell’uomo, sono inevitabili e necessarie prove di efficacia e sicurezza sulle persone. Il maiale è ormai stato scelto come fonte da prediligere per lo studio – e, forse, in futuro la reale applicazione - di questa pratica. Questo perché presenta diversi vantaggi per il trapianto nell’uomo, tra cui la fisiologia e le dimensioni degli organi, la velocità di riproduzione e le conoscenze (e la capacità) in merito all’inserimento di modificazione genetiche utili allo scopo. Infatti, sebbene le singole correzioni genetiche siano basate su studi biologici e in vitro (in pochissimi casi in vivo), il contributo di ogni singolo componente alla tossicità e all'efficacia dello xenotrapianto non è stato rigorosamente testato o misurato. Tra le questioni che restano da analizzare approfonditamente ci sono il rigetto, il rischio di trasmettere virus da maiale a uomo, la scelta dei farmaci più adatti per gestire l’immunosoppressione e l’eventuale influenza di patologie pregresse sulla procedura.

    Stando a una news pubblicata su Nature a inizio luglio, la Food and Drug Administration (FDA) ha discusso con diversi medici in merito alle necessità – mediche e burocratiche – per proseguire con la ricerca nell’ambito degli xenotrapianti. È stata evidenziata la necessità di sperimentazioni sull’uomo per rispondere ai quesiti ancora aperti. Studi clinici mirati, con un numero ridotto di pazienti attentamente selezionati, potrebbero essere un primo passo concreto per ottenere informazioni utili e valutare al meglio queste procedure.

    Visto l’interesse attuale in questo campo, ci sono alcune aziende - luoghi ibridi tra allevamenti e biotech all’avanguardia - che già da qualche anno stanno studiando e allevando, in strutture altamente controllate, maiali geneticamente modificati per la produzione di organi idealmente destinati a uso umano. Le mutazioni genetiche in fase di analisi - effettuate grazie alle tecniche di editing genomico, come descritto in un articolo di Nature uscito ad agosto hanno come obiettivi principali la protezione dal rischio di rigetto iperacuto, dal danno causato dalla risposta immunitaria e dai processi infiammatori. Altre due problematiche che hanno attirato l’attenzione sono la prevenzione della crescita dell’organo dopo il trapianto e il rischio di trasmissione di virus suini all’uomo.

    Studi Clinici in arrivo

    Diversi stakeholder, dalle biotech ai medici, sono quindi interessati agli sviluppi in questo settore e iniziano a spingere verso una raccolta di dati più strutturata – e non basata sui cosiddetti “case studies” - e verso trial clinici in grado di analizzare a fondo le questioni aperte. Facendo una ricerca su ClinicalTrials.gov, database che raccoglie informazioni sulle sperimentazioni cliniche che si svolgono in tutto il mondo, attualmente risulta un solo trial clinico attivo dedicato allo studio degli xenotrapianti di reni di maiale in pazienti con malattia renale in fase terminale. Pubblicato ad aprile, si tratta di uno studio di Fase I che prevede di coinvolgere 20 persone, con lo scopo di studiare il trapianto di reni di maiale in cui sono state fatte 10 modifiche genetiche per ridurre la risposta immunitaria. Il reclutamento e la procedura avverranno nell'arco di 5 anni e il follow-up dello studio si estenderà fino a un anno dopo lo xenotrapianto. Le variabili di esito primario riguardano la sicurezza del paziente, come la sua sopravvivenza e il tasso di trasmissione di malattie zoonotiche. Le variabili di esito secondario comprendono parametri comunemente utilizzati per la sopravvivenza e la funzionalità del trapianto.

    Molteplici discussioni - sia scientifiche che etiche - ruotano attorno alla pratica dello xenotrapianto e, finché i risultati delle sperimentazioni non risponderanno alle domande rimaste in sospeso, questa procedura non potrà ovviamente essere inserita nella pratica clinica.

    Efficacia della procedura e sicurezza per i pazienti restano infatti il primo interesse della ricerca.

    Un primo traguardo, cioè le prime prove di trapianto con organi provenienti da maiali, è ormai stato raggiunto e ora si guarda al prossimo: ottenere le autorizzazioni dagli enti regolatori per condurre sperimentazioni cliniche più strutturate.

  • Dopo il parere positivodell’EMA (European Medicines Agency) a inizio 2022 la Commissione Europea ha autorizzato l’uso di sotorasib, il primo farmaco antitumorale diretto contro la proteina K-Ras che fino ad allora era considerata undruggable ovvero impossibile da colpire con i farmaci in commercio. Sebbene i risultati ottenuti dal suo impiego non siano ottimali, sotorasib ha sovvertito l’idea che K-Ras fosse inattaccabile e ha rinnovato l’entusiasmo nella ricerca di molecole efficaci contro di essa.

    La proteina K-Ras, codificata dal gene omonimo, è mutata in circa il 25% dei tumori maligni ed è particolarmente prevalente nei tumori a elevata mortalità come quelli del pancreas, del polmone e del colon-retto. Per questo, dalla sua scoperta, è sempre stata un bersaglio terapeutico molto studiato ma, fino all’avvento di sotorasib, nessun farmaco era stato in grado di colpirla direttamente.

    Visti i dati ottenuti dallo studio clinico di fase II CodeBreak 100, a inizio 2022 la Commissione Europea ha assegnato a sotorasib una autorizzazione al commercio condizionata. Significa che il farmaco è stato approvato sulla base di una quantità di dati riguardanti l’efficacia minore rispetto a quella normalmente richiesta poiché, finora, è l’unica opzione terapeutica per i pazienti affetti da tumori con mutazioni di KRAS.

    In particolare, sotorasib è stato approvato per l’uso nei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellulecon mutazione G12C della proteina K-Ras, la mutazione prevalente nel tumore al polmone ma non la più frequente in assoluto.

    I risultati ottenuti dagli studi clinici non sono eclatanti ma bisogna tenere in considerazione che i pazienti che entrano in questi studi hanno tumori aggressivi in stadi avanzati e non rispondono ad altre terapie. Solamente il 28% dei pazienti risponde a sotorasib (più del doppio rispetto a quelli che rispondono alla chemioterapia) e, nella maggior parte dei casi, il suo effetto è transiente e i pazienti vanno incontro a ricadute dopo pochi mesi. Inoltre, dopo il trattamento, molti tumori diventano resistenti al farmaco.

    Saranno necessari ulteriori dati sull’efficacia comparata a quella di altri farmaci antitumorali e sul rapporto rischi-benefici prima che la Commissione Europea possa esprimersi sull’autorizzazione al commercio definitiva di sotorasib. Nel frattempo, l’attenzione si sta concentrando anche su nuovi inibitori di K-Ras e su combinazioni volte a ottimizzare gli effetti delle molecole già sviluppate.

    L’unico inibitore di K-Ras in fase III di sperimentazione è adagrasib, il cui meccanismo d’azione è molto simile a quello di sotorasib, anche se secondo dati preclinici sembra avere meno effetti collaterali del suo capostipite se associato a immunoterapia. Sia adagrasib che sotorasib sono diretti contro la mutazione G12C di K-Ras. La proteina K-Ras è implicata nel controllo dei processi di proliferazione cellulare e, se mutata, rimane perennemente in uno stato attivo determinando la crescita delle cellule tumorali. Legandosi alla proteina mutata, invece, i due farmaci inibitori sono in grado di bloccarla in uno stato inattivo e impedirne l’azione.

    Il rinnovato entusiasmo che ha portato l’autorizzazione di sotorasib nella ricerca farmacologica ha diretto l’attenzione dei ricercatori anche verso la più frequente mutazione della proteina K-Ras, la G12D. Rappresenta un bersaglio terapeutico ancora più difficile da attaccare rispetto a G12C e attualmente nessun farmaco è riuscito a raggiungere fasi avanzate della ricerca clinica. 

    Altri rami di ricerca si stanno, invece, concentrando sull’associazione degli inibitori di K-Ras con diversi farmaci inibitori dei checkpoint o sullo sviluppo di farmaci tripli inibitori per bloccare anche le proteine N-Rar e H-Ras che sarebbero in grado di sopperire alle funzioni di K-Ras bloccata dai farmaci come sotorasib.

    L’autorizzazione di sotorasib ha rappresentato, in definitiva, una pietra miliare per la ricerca farmacologica in oncologia. La scoperta che anche una mutazione così frequente e mortale finora considerata inattaccabile sia diventata un bersaglio possibile ha dato speranza ai ricercatori e con ogni probabilità darà nuove speranze terapeutiche anche ai pazienti. 

    Studi clinici sull’uso di sotorasib e adagrasib aperti al coinvolgimento dei pazienti in Italia (dicembre 2022)

    Tumore del polmone a cellule non piccole

    Sarcoma dei tessuti molli

    Tumore avanzato del colon-retto

  • Per informazioni www.gidm.org 

     

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