• Si concluderà a dicembre 2023 lo studio clinico di fase II volto a studiare la tollerabilità, la sicurezza e l’efficacia di una terapia cellulare che potrebbe dare una nuova speranza ai pazienti con insufficienza epatica terminale non elegibili al trapianto di fegato.

    La sperimentazione avviata a fine 2022 al Massachussetts General Hospital di Boston prevede il trapianto di epatociti allogenici nei linfonodi periduodenali allo scopo di far crescere in questa sede delle isole di tessuto epatico che sopperiscano alla funzione compromessa del fegato.

    È noto che il fegato è uno di pochi organi in grado di rigenerarsi se danneggiato. Quando però il danno è esteso, come nella cirrosi, il fegato non è più in grado di far fronte alle perdite di epatociti e la sua funzionalità si riduce gradualmente fino a diventare insufficiente. La capacità autorigenerativa del fegato, però, può essere sfruttata per produrre piccoli fegati al di fuori della normale sede epatica. Già da più di dieci anni i ricercatori stanno sperimentando la tecnica di trapianto degli epatociti nei linfonodi per il trattamento dell’insufficienza epatica negli animali come topi e maiali. Ora è giunta l’ora di testarne efficacia anche sull’uomo grazie all’autorizzazione da parte della FDA (Food and Drug Admnistration) dello studio clinico di fase II, sponsorizzato dall’azienda biotecnologica LyGenesis Inc., che avrà luogo al Massachussets General Hospital di Boston.

    La terapia

    Gli epatociti prelevati da donatori sani dopo un adeguato trattamento vengono trapiantati direttamente nei linfonodi periduodenali dei pazienti riceventi con una tecnica mini-invasiva che prevede l’utilizzo di endoscopio. Saranno effettuate tre somministrazioni di epatociti a dosaggio incrementale, in un numero sempre più ampio di linfonodi. In contemporanea, i pazienti verranno trattati con farmaci immunosoppressori, come il tacrolimus, per evitare reazioni di rigetto.

    Lo studio clinico

    Nella fase II A della sperimentazione sono coinvolti 12 pazienti di entrambi i sessi, tra i 18 e i 70 anni di età, con insufficienza epatica in stadio terminale (ESLD —End Stage Liver Desease) dovuta a patologie che non li rendono elegibili al trapianto di fegato quali alcolismo, epatite infettiva B o C, epatite autoimmune, colangite sclerosante primitiva, cirrosi biliare primaria, cirrosi associata a malattia di Wilson, emocromatosi, sarcoidosi, deficienza di antitripsina α-1, cirrosi criptogenica e cirrosi da steatoepatite non alcolica.

    Si tratta di uno studio in aperto, dove sia pazienti che medici sono a conoscenza della terapia somministrata, senza gruppo di controllo.

    Gli obiettivi primari dello studio prevedono la valutazione, a 12 settimane dall’inizio della terapia, della dose ottimale per garantire l’efficacia e la sicurezza del trapianto di epatociti. La sicurezza è determinata dal numero e dalla gravità degli effetti avversi mentre l’efficacia viene valutata come la capacità di determinare una riduzione dei segni e i sintomi dell’insufficienza epatica in stadio terminale.

    Dopo un anno dall’inizio della terapia verranno valutati anche gli obiettivi secondari come la capacità degli epatociti trapiantati di migliorare i parametri di laboratorio della funzione epatica (bilirubina, ammonio, tempo di protrombina, sodio, urea e creatinina), di ridurre la gravità dell’ascite e della sarcopenia, di aumentare la capacità di riserva epatica, di migliorare la funzionalità epatica generale. Inoltre, saranno valutate anche la qualità della vita dei pazienti, il loro grado di affaticabilità e lo stato neuropsicologico.

    Se i risultati positivi finora ottenuti sugli animali dovessero confermarsi anche nell’uomo, questa terapia cellulare potrebbe incidere non solo sull’aspettativa di vita dei pazienti con una malattia del fegato in stadio terminale che non possono accedere al trapianto di fegato ma anche di quei pazienti che pur avendo i criteri per accedervi non riescono a farlo a causa delle lunghe attese dovute alla mancanza di organi o dell’incompatibilità con gli organi disponibili.

  • Segnali di apertura da parte della Food and Drug Administration verso la sperimentazione clinica che riguarda i trapianti di organi animali in essere umani.

    Sebbene finora non siano stati condotti studi clinici formali sugli xenotrapianti, negli ultimi mesi diversi medici hanno eseguito procedure straordinarie, singolarmente autorizzate dai comitati etici. Alla fine del 2021, infatti, il trapianto di reni di maiale su due pazienti cerebralmente deceduti ha decretato l’inizio di questo cammino, poi proseguito con un trapianto di cuore su una persona gravemente malata. Se nel primo caso si trattava di persone considerate legalmente morte, nel secondo si trattava di una persona viva ma senza alcuna possibilità di sopravvivenza, motivo per cui è stata comunque concessa l’autorizzazione a procedere. Alla fine di questo complesso percorso dovrebbe esserci l’introduzione degli xenotrapianti nella pratica clinica, ma prima di giungere a quel punto è necessario condurre sperimentazioni cliniche per studiare a fondo tali procedure. Da quando è stato possibile dimostrare la fattibilità di questa tecnica – sebbene in casi unici – i ricercatori hanno iniziato a richiedere all’ente regolatorio statunitense di autorizzare trial clinici dedicati.

    Il numero di persone in attesa di trapianto è molto alto e il problema riguarda pazienti in tutto il mondo: da qui l’urgenza di trovare una soluzione alternativa, in grado di sopperire alla mancanza di organi umani da trapiantare.

    I ricercatori che lavorano in questo settore sperano che gli xenotrapianti possano contribuire a salvare più vite.

    Tra le varie questioni aperte, resta da scoprire se un organo proveniente da animale possa essere in grado di tenere in vita a lungo termine un essere umano altrimenti senza speranza. Prima di arrivare a considerare lo xenotrapianto come pratica clinica standard, è però necessario rispondere alle molte domande rimaste senza risposta, specialmente quelle che riguardano i rischi dello xenotrapianto in sé.

    La situazione attuale

    Attualmente, i dati disponibili sono derivati dai trapianti di organi di maiale in primati non umani, ma questi test hanno dei limiti: se l’obiettivo finale è arrivare al trapianto nell’uomo, sono inevitabili e necessarie prove di efficacia e sicurezza sulle persone. Il maiale è ormai stato scelto come fonte da prediligere per lo studio – e, forse, in futuro la reale applicazione - di questa pratica. Questo perché presenta diversi vantaggi per il trapianto nell’uomo, tra cui la fisiologia e le dimensioni degli organi, la velocità di riproduzione e le conoscenze (e la capacità) in merito all’inserimento di modificazione genetiche utili allo scopo. Infatti, sebbene le singole correzioni genetiche siano basate su studi biologici e in vitro (in pochissimi casi in vivo), il contributo di ogni singolo componente alla tossicità e all'efficacia dello xenotrapianto non è stato rigorosamente testato o misurato. Tra le questioni che restano da analizzare approfonditamente ci sono il rigetto, il rischio di trasmettere virus da maiale a uomo, la scelta dei farmaci più adatti per gestire l’immunosoppressione e l’eventuale influenza di patologie pregresse sulla procedura.

    Stando a una news pubblicata su Nature a inizio luglio, la Food and Drug Administration (FDA) ha discusso con diversi medici in merito alle necessità – mediche e burocratiche – per proseguire con la ricerca nell’ambito degli xenotrapianti. È stata evidenziata la necessità di sperimentazioni sull’uomo per rispondere ai quesiti ancora aperti. Studi clinici mirati, con un numero ridotto di pazienti attentamente selezionati, potrebbero essere un primo passo concreto per ottenere informazioni utili e valutare al meglio queste procedure.

    Visto l’interesse attuale in questo campo, ci sono alcune aziende - luoghi ibridi tra allevamenti e biotech all’avanguardia - che già da qualche anno stanno studiando e allevando, in strutture altamente controllate, maiali geneticamente modificati per la produzione di organi idealmente destinati a uso umano. Le mutazioni genetiche in fase di analisi - effettuate grazie alle tecniche di editing genomico, come descritto in un articolo di Nature uscito ad agosto hanno come obiettivi principali la protezione dal rischio di rigetto iperacuto, dal danno causato dalla risposta immunitaria e dai processi infiammatori. Altre due problematiche che hanno attirato l’attenzione sono la prevenzione della crescita dell’organo dopo il trapianto e il rischio di trasmissione di virus suini all’uomo.

    Studi Clinici in arrivo

    Diversi stakeholder, dalle biotech ai medici, sono quindi interessati agli sviluppi in questo settore e iniziano a spingere verso una raccolta di dati più strutturata – e non basata sui cosiddetti “case studies” - e verso trial clinici in grado di analizzare a fondo le questioni aperte. Facendo una ricerca su ClinicalTrials.gov, database che raccoglie informazioni sulle sperimentazioni cliniche che si svolgono in tutto il mondo, attualmente risulta un solo trial clinico attivo dedicato allo studio degli xenotrapianti di reni di maiale in pazienti con malattia renale in fase terminale. Pubblicato ad aprile, si tratta di uno studio di Fase I che prevede di coinvolgere 20 persone, con lo scopo di studiare il trapianto di reni di maiale in cui sono state fatte 10 modifiche genetiche per ridurre la risposta immunitaria. Il reclutamento e la procedura avverranno nell'arco di 5 anni e il follow-up dello studio si estenderà fino a un anno dopo lo xenotrapianto. Le variabili di esito primario riguardano la sicurezza del paziente, come la sua sopravvivenza e il tasso di trasmissione di malattie zoonotiche. Le variabili di esito secondario comprendono parametri comunemente utilizzati per la sopravvivenza e la funzionalità del trapianto.

    Molteplici discussioni - sia scientifiche che etiche - ruotano attorno alla pratica dello xenotrapianto e, finché i risultati delle sperimentazioni non risponderanno alle domande rimaste in sospeso, questa procedura non potrà ovviamente essere inserita nella pratica clinica.

    Efficacia della procedura e sicurezza per i pazienti restano infatti il primo interesse della ricerca.

    Un primo traguardo, cioè le prime prove di trapianto con organi provenienti da maiali, è ormai stato raggiunto e ora si guarda al prossimo: ottenere le autorizzazioni dagli enti regolatori per condurre sperimentazioni cliniche più strutturate.

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