• Lo studio clinico di fase II ATEZOTRIBE si propone di investigare se la combinazione di immunoterapia, chemioterapia e agente anti-angiogenico possa rappresentare una efficace strategia come trattamento di prima linea del tumore del colon-retto metastatico.

  • I pazienti affetti da carcinoma colorettale metastatico con instabilità dei microsatelliti (MSI) possono partecipare a una sperimentazione clinica in corso 5 ospedali italiani e oltre 150 in tutto il mondo. Lo scopo della sperimentazione è quello di confrontare l’efficacia di diverse combinazioni di farmaci biologici come nivolumab e ipilimumab rispetto a quella di farmaci chemioterapici come fluoracile e oxaliplatino.

    Cosa è il carcinoma colorettale metastatico con instabilità dei microsatelliti

    Il carcinoma colorettale è un tumore che origina dalla superficie dell’ultimo tratto dell’intestino che comprende il colon e il retto. È un tumore molto frequente che colpisce più di 43.000 persone ogni anno. Questo tipo di carcinoma si può classificare in diversi sottotipi a seconda delle sue caratteristiche molecolari.

    Circa il 5% dei tumori del colon-retto è caratterizzato dall’instabilità dei microsatelliti(MSI-H).

    I microsatelliti sono delle brevi sequenze ripetute del DNA presenti normalmente nel genoma umano ma che in una condizione patologica possono variare nel numero di ripetizioni rendendo il DNA e, di conseguenza la cellula, instabile. L’MSI-H è generalmente associata a una prognosi peggiore e le evidenze raccolte finora indicano anche una minore risposta alla chemioterapia convenzionale.

    Caratteristiche dello studio clinico e i farmaci utilizzati

    La studio clinico di fase III A Study of Nivolumab, Nivolumab Plus Ipilimumab, or Investigator's Choice Chemotherapy for the Treatment of Participants With Deficient Mismatch Repair (dMMR)/Microsatellite Instability High (MSI-H) Metastatic Colorectal Cancer (mCRC) (CheckMate 8HW)con il codice identificativo NCT04008030 promosso dalla casa farmaceutica Bristol-Myers Squibb coinvolgerà 748 partecipanti in tutto il mondo.

    Lo studio è randomizzato in aperto: tutti i pazienti saranno divisi casualmente in 3 gruppi e ogni gruppo riceverà un trattamento diverso:

    • al gruppo A sarà somministrato il nivolumab in monoterapia,
    • al gruppo B la combinazione nivolumab+ipilimumab e
    • al gruppo C un farmaco chemioterapico scelto dal medico sperimentatore a seconda delle caratteristiche cliniche del paziente tra oxaliplatino, leucovorin, fluoroacile, irinotecano, bavcizumab, cetuximab.

    I pazienti del gruppo C potranno passare al gruppo B nel caso in cui malattia progredisse durante la sperimentazione.

    Il nivolumab e l’ipilimumab sono farmaci biologici che potenziano il sistema immunitario deputato a colpire ed eliminare le cellule tumorali.

    Quali sono gli obiettivi sperimentali

    L’obiettivo primario dello studio è quello di confrontare il beneficio clinico dato dai tre tipi di trattamento grazie alla misurazione della sopravvivenza libera da progressione di malattia (PFS) a 5 anni dall’inizio.

    Gli altri obiettivi sono quelli di valutare il tasso di risposta obiettiva (ORR) e la sopravvivenza complessiva (OS).

    Chi può partecipare allo studio clinico?

    Nelle sperimentazioni cliniche sono presenti dei parametri clinici per selezionare le caratteristiche dei pazienti che vi possono partecipare e trarne un potenziale beneficio, queste sono definite criteri di inclusione ed esclusione.

    I criteri di inclusione in questo studio sono:

    • Essere maggioreni

    • Avere una diagnosi, confermata istologicamente, di carcinoma colorettale metastatico non operabile

    • Avere un tumore con instabilità dei microsatelliti

    • Avere un performance status (indice ECOG) adeguato.

    I criteri di esclusione sono:

    • Avere una malattia autoimmune in fase attiva

    • Aver avuto in precedenza una polmonite o una malattia interstiziale polmonare

    • Essere positivi al virus dell’HIV o avere l’AIDS.

    A chi rivolgersi e quali sono i centri clinici in cui è attiva la ricerca?(aggiornamento 1 settembre 2022) 

    Per partecipare alla sperimentazione clinica in Italia è possibile rivolgersi a queste strutture: 

    Per maggiori informazioni sugli obiettivi dello studio e i criteri di inclusione o esclusione e per valutare la possibilità di partecipazione alla sperimentazione, è necessario che il proprio medico di riferimento prenda visione della scheda dello studio clinico. Per ulteriori informazioni è possibile anche consultare questa pagina.

  • Cosa è il tumore al colon retto

    Il cancro del colon retto è molto frequente e racchiude tumori che interessano il tratto dell’intestino crasso e il retto. Quasi tutti sono adenocarcinomi (95%) che insorgono con la formazione di quello che viene comunemente chiamato “polipo”, una formazione a bottone che appare sulla mucosa intestinale. Questo polipo si può trasformare, estendere e crescere nella parete intestinale per poi diffondersi nel corpo.

    A che età ci si ammala

    È un tumore che si può presentare in ogni età ma l’incidenza aumenta in maniera importante tra i 40 e i 50 anni.

    Quali sono i fattori di rischio

    È difficile definire con precisione i fattori di rischio perché è una malattia di cui non si conosce perfettamente il meccanismo di insorgenza. Si ipotizza l’importante influenza del microbioma intestinale, la popolazione di batteri che popolano il nostro intestino, e si è notata una relazione tra una dieta ricca di grassi, proteine animali e carboidrati (ma povera di fibre) come possibile fattore di rischio.

    In circa il 20% dei casi il tumore colorettale ha una componente ereditaria.

    Alcune malattie come il morbo di Crohn o la colite ulcerosa possono aumentare il rischio di una formazione tumorale, anche in relazione alla prolungata presenza di queste patologie.

    È possibile fare screening 

    Fortunatamente è possibile effettuare degli esami di screening per il cancro del colon-retto in modo piuttosto semplice:

    Esame del sangue occulto nelle feci - un esame semplice che consente di avere una prima idea della situazione anche se non esclude completamente la possibilità di un tumore anche in caso di esame negativo. Questo esame dovrebbe essere idealmente eseguito ogni anno.

    Colonscopia - Questo esame può essere endoscopico o virtuale. Alla comodità della seconda opzione, che non richiede sedazione, si contrappone una sensibilità diagnostica minore e una impossibilità di rimozione immediata degli eventuali polipi identificati. La colonscopia endoscopica può essere eseguita ogni 10 anni. 

     Lo screening è altamente raccomandato dai 45-50 anni in poi.

    Quali i sintomi iniziali

    Il tumore colorettale è solitamente a crescita lenta e non causa sintomi immediati. La comparsa dei sintomi è anche condizionata alla posizione della lesione e alle differenze anatomiche del colon. I sintomi principali sono: emorragia, anemia o dolore addominale, fondamentalmente causato dall’ostruzione. 

    Il sintomo più comune rimane il sanguinamento nel corso della defecazione.

    Come si effettua la diagnosi

    Se si è riscontrata una positività nell’esame del sangue occulto è necessario sottoporsi ad una colonscopia endoscopica che dovrà rimuovere (se possibile) tutti i polipi che saranno di seguito analizzati istologicamente. Se l’esame conferma la presenza di cellule cancerose il paziente dovrà poi essere indirizzato ad esami clinici di approfondimento per definire l’estensione del tumore e la presenza di eventuali metastasi.

    Quali sono le terapie disponibili

    Quando possibile si interviene chirurgicamente per la rimozione delle zone interessate dal tumore. Quando indicato, viene anche utilizzata una terapia adiuvante, una terapia chemio o radio somministrata prima e dopo l’operazione chirurgica. 

    Quali gli studi clinici in corso?

    In questo momento (maggio 2022) sono attivi in Italia 76 studi clinici per il cancro del colon retto. Di questi:

    16 studi sono di tipo osservazionale e interessano temi come la biopsia liquida, immunoterapia o procedure chirurgiche

    61 studi sono di tipo interventistico in cui vengono valutate diverse terapie

    È possibile vedere qui la lista degli studi clinici disponibili.

    A chi mi posso rivolgere? 

    Per ulteriore aiuto organizzativo il paziente può rivolgersi ad importanti associazioni di pazienti come AMOC o AIMAC

     

    La sezione è stata sviluppata con il contributo non condizionante di

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  • Dopo il parere positivodell’EMA (European Medicines Agency) a inizio 2022 la Commissione Europea ha autorizzato l’uso di sotorasib, il primo farmaco antitumorale diretto contro la proteina K-Ras che fino ad allora era considerata undruggable ovvero impossibile da colpire con i farmaci in commercio. Sebbene i risultati ottenuti dal suo impiego non siano ottimali, sotorasib ha sovvertito l’idea che K-Ras fosse inattaccabile e ha rinnovato l’entusiasmo nella ricerca di molecole efficaci contro di essa.

    La proteina K-Ras, codificata dal gene omonimo, è mutata in circa il 25% dei tumori maligni ed è particolarmente prevalente nei tumori a elevata mortalità come quelli del pancreas, del polmone e del colon-retto. Per questo, dalla sua scoperta, è sempre stata un bersaglio terapeutico molto studiato ma, fino all’avvento di sotorasib, nessun farmaco era stato in grado di colpirla direttamente.

    Visti i dati ottenuti dallo studio clinico di fase II CodeBreak 100, a inizio 2022 la Commissione Europea ha assegnato a sotorasib una autorizzazione al commercio condizionata. Significa che il farmaco è stato approvato sulla base di una quantità di dati riguardanti l’efficacia minore rispetto a quella normalmente richiesta poiché, finora, è l’unica opzione terapeutica per i pazienti affetti da tumori con mutazioni di KRAS.

    In particolare, sotorasib è stato approvato per l’uso nei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellulecon mutazione G12C della proteina K-Ras, la mutazione prevalente nel tumore al polmone ma non la più frequente in assoluto.

    I risultati ottenuti dagli studi clinici non sono eclatanti ma bisogna tenere in considerazione che i pazienti che entrano in questi studi hanno tumori aggressivi in stadi avanzati e non rispondono ad altre terapie. Solamente il 28% dei pazienti risponde a sotorasib (più del doppio rispetto a quelli che rispondono alla chemioterapia) e, nella maggior parte dei casi, il suo effetto è transiente e i pazienti vanno incontro a ricadute dopo pochi mesi. Inoltre, dopo il trattamento, molti tumori diventano resistenti al farmaco.

    Saranno necessari ulteriori dati sull’efficacia comparata a quella di altri farmaci antitumorali e sul rapporto rischi-benefici prima che la Commissione Europea possa esprimersi sull’autorizzazione al commercio definitiva di sotorasib. Nel frattempo, l’attenzione si sta concentrando anche su nuovi inibitori di K-Ras e su combinazioni volte a ottimizzare gli effetti delle molecole già sviluppate.

    L’unico inibitore di K-Ras in fase III di sperimentazione è adagrasib, il cui meccanismo d’azione è molto simile a quello di sotorasib, anche se secondo dati preclinici sembra avere meno effetti collaterali del suo capostipite se associato a immunoterapia. Sia adagrasib che sotorasib sono diretti contro la mutazione G12C di K-Ras. La proteina K-Ras è implicata nel controllo dei processi di proliferazione cellulare e, se mutata, rimane perennemente in uno stato attivo determinando la crescita delle cellule tumorali. Legandosi alla proteina mutata, invece, i due farmaci inibitori sono in grado di bloccarla in uno stato inattivo e impedirne l’azione.

    Il rinnovato entusiasmo che ha portato l’autorizzazione di sotorasib nella ricerca farmacologica ha diretto l’attenzione dei ricercatori anche verso la più frequente mutazione della proteina K-Ras, la G12D. Rappresenta un bersaglio terapeutico ancora più difficile da attaccare rispetto a G12C e attualmente nessun farmaco è riuscito a raggiungere fasi avanzate della ricerca clinica. 

    Altri rami di ricerca si stanno, invece, concentrando sull’associazione degli inibitori di K-Ras con diversi farmaci inibitori dei checkpoint o sullo sviluppo di farmaci tripli inibitori per bloccare anche le proteine N-Rar e H-Ras che sarebbero in grado di sopperire alle funzioni di K-Ras bloccata dai farmaci come sotorasib.

    L’autorizzazione di sotorasib ha rappresentato, in definitiva, una pietra miliare per la ricerca farmacologica in oncologia. La scoperta che anche una mutazione così frequente e mortale finora considerata inattaccabile sia diventata un bersaglio possibile ha dato speranza ai ricercatori e con ogni probabilità darà nuove speranze terapeutiche anche ai pazienti. 

    Studi clinici sull’uso di sotorasib e adagrasib aperti al coinvolgimento dei pazienti in Italia (dicembre 2022)

    Tumore del polmone a cellule non piccole

    Sarcoma dei tessuti molli

    Tumore avanzato del colon-retto

  • Un gruppo di ricerca americano, coordinato dal professor Arvind Dasari dell’Università del Texas, ha recentemente pubblicato su JAMA Network Open una revisione sistematica della letteratura scientifica che valuta l’impatto degli studi clinici di fase III sulla sopravvivenza complessiva dei pazienti affetti da carcinoma metastatico del colon-retto. Lo scopo era quello di analizzare come sono cambiati gli studi clinici di questo tipo nel corso del trentennio 1986-2016, individuare i fattori che sono legati a una maggiore sopravvivenza dei pazienti e suggerire miglioramenti nel disegno degli studi clinici perché siano al passo con i tempi  dell'oncologia di precisione.

    La revisione sistematica

    Una revisione sistematica della letteratura è uno studio di secondo livello che ha lo scopo di analizzare e riassumere, con una metodologia standardizzata e ripetibile, i risultati degli studi di primo livello allo scopo di rispondere a un preciso quesito clinico.

    Il gruppo di ricerca americano ha analizzato 150 studi clinici di fase III finalizzati a valutare l’efficacia di terapie antitumorali sistemiche su pazienti con carcinoma metastatico del colon-retto che hanno avuto luogo negli Stati Uniti tra il 1986 e il 2016.

    Per identificare le caratteristiche di questi studi legate a un aumento significativo (in questo caso considerato maggiore o uguale a 2 mesi) della sopravvivenza complessiva dei pazienti partecipanti, i ricercatori hanno confrontato i dati ottenuti dall’analisi degli studi selezionati, che comprendono 77494 pazienti, con quelli di 67126 pazienti trattati con chemioterapia, ricavati dal database SEER (Surveillance, Epidemiology and End Results) del National Cancer Institute statunitense, che raccoglie i dati di circa il 35% della popolazione americana ed è considerato una buona fonte di informazioni sull'epidemiologia e la sopravvivenza dei malati di cancro.

    In ogni caso questa revisione sistematica presenta dei limiti che devono essere considerati, come l'esclusivo utilizzo del database SEER che pur essendo considerato una buona fonte di dati non è esaustivo.

    I risultati dell'analisi

    É emerso che solo il 46,6% degli studi clinici analizzati ha raggiunto l’obiettivo primario previsto dal protocollo dello studio, e solo il 26,5% degli studi ha visto un aumento della sopravvivenza complessiva superiore ai 2 mesi, evidenziando come il raggiungimento di un risultato positivo in termini statistici non sia legato necessariamente al beneficio clinico. 

    Nonostante ciò è stato osservato un miglioramento della sopravvivenza dei pazienti affetti da cancro metastatico del colon retto, soprattutto per quelli che facevano parte dei bracci sperimentali degli studi nei quali venivano testati farmaci di prima linea di trattamento (incremento di 5,7 mesi in 10 anni).

    Dove migliorare?

    L'analisi mostra come gli studi nei quali vengono testate terapie di terza linea e oltre, nonchè gli studi finanziati interamente dalle case farmaceutiche, siano quelli meno frequentemente associati a un aumento della sopravvivenza. 

    Nel corso del periodo 1986-2016 si è anche assistito a una riduzione della ricerca su nuove molecole e target terapeutici, tanto che è aumentata dal 28% al 50% la percentuale degli studi che prevedono l’utilizzo di combinazioni o nuovi dosaggi di farmaci già approvati.

    Inoltre, è molto basso il numero di studi clinici che valutano la sopravvivenza e i benefici clinici a lungo termine e questo rende più difficile associare l’aumento della sopravvivenza complessiva con l’efficacia della terapia farmacologica, visto che ulteriori benefici potrebbero derivare anche dai miglioramenti nella diagnostica e nella chirurgia del tumore metastatico del colon-retto.

    Secondo i ricercatori americani è quindi importante disegnare degli studi clinici di fase III per la terapia del carcinoma metastatico del colon-retto che conducano a un effettivo aumento della sopravvivenza complessiva a lungo termine. Per questo è necessario sviluppare una maggiore comprensione dei meccanismi patogenetici, utilizzare sofisticati strumenti di ricerca traslazionale e lavorare su nuove molecole dirette contro nuovi bersagli terapeutici.

     

     

    Articolo di riferimento:  https://jamanetwork.com/journals/jamanetworkopen/fullarticle/2792599

     

     

     

  • Ottime premesse dai risultati di uno studio clinico di Fase II su 12 pazienti con deficit del sistema di riparazione del DNA

    Tra le neoplasie diffuse in Italia il cancro del colon-retto è una delle più note, interessando quasi in egual misura maschi e femmine (con un leggero aumento in termini numerici nei primi rispetto alle seconde). Sono oltre 43 mila le nuove diagnosi poste in un anno e il cammino terapeutico dei pazienti appare spesso lungo e articolato, necessitando di chemioterapia, radioterapia e anche dell’intervento chirurgico. Ma (in un futuro prossimo) il contribuito a un cambiamento della pratica vigente potrebbe giungere dai dati da poco pubblicati sulla rivista The New England Journal of Medicine relativi all’utilizzo di un anticorpo monoclonale (dostarlimab) in individui affetti da adenocarcinoma del retto in fase avanzata con un deficit nel sistema di riparazione del DNA (MMR, Mismatch Repair).

    Prima di entrare nel merito dei risultati dello studio è bene ricordare che uno dei meccanismi attraverso cui originano e si sviluppano i tumori è quello della creazione di difetti o inceppamenti nei meccanismi di riparazione del DNA; di fatto, le mutazioni che inducono instabilità del genoma devono esser tenute d’occhio perché possono portare a un più facile sviluppo del tumore. Nella descrizione dello studio clinico di cui sono stati presentati i risultati tale instabilità è stata valutata attraverso l’uso di test per determinare l’espressione nei pazienti di geni importanti fra cui MLH1, MSH1, MSH6 e PMS2 che svolgono una funzione essenziale nella riparazione del DNA: pazienti con un adenocarcinoma rettale di stadio II o III, con un punteggio ECOG (Eastern Cooperative Oncology Group) compreso tra 0 e 1 e una mancata espressione di questi geni sono stati considerati adatti all’arruolamento.

    Attualmente, la strategia operativa per i tumori del retto localmente avanzati consiste nel far precedere all’intervento chirurgico un trattamento di chemio-radioterapia e, dopo la chirurgia, sottoporre il paziente a un altro regime di chemioterapia adiuvante a base di fluoropirimidina e oxaliplatino. Secondo quanto riportano gli autori dello studio - condotto presso il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York - questa strategia ha successo in un quarto dei pazienti ma si associa a un elevato tasso di complicazioni con un pesante impatto sulla qualità di vita dei malati. Se a ciò si aggiunge che nel 5-10% dei pazienti che presentano un deficit nel sistema di riparazione del DNA la risposta al trattamento è molto limitata, si comprende come siano necessarie nuove opportunità di cura. Come quelle offerte da anticorpi monoclonali quali dostarlimab un anti-PD-1 (Programmed Death-1), già approvato dalla Commissione Europea per il trattamento del cancro endometriale ricorrente o avanzato.

    Il protocollo attuato dagli oncologi statunitensi si rifà ad uno studio prospettico di Fase II a singolo gruppo che prevedeva la somministrazione endovenosa di dostarlimab alla dose di 500 mg ogni 3 settimane per sei mesi (un totale di 9 cicli), a cui far seguire il trattamento di chemio-radioterapia e poi di chirurgia; tuttavia, a quanti avessero ottenuto una risposta completa dopo la sola terapia con dostarlimab sarebbe stata risparmiata questa seconda parte per essere mantenuti sotto stretta osservazione (il periodo di follow-up prevedeva controlli a 6 settimane, 3 mesi e 6 mesi e poi ogni 4 mesi dall’inizio del trattamento).

    L’obiettivo principale dello studio è stata la valutazione della risposta completa a 12 mesi dal completamento della terapia con dostarlimab (nei pazienti che non hanno avuto bisogno dell’intervento chirurgico) e della risposta patologica completa dopo il completamento della terapia con dostarlimab con o senza chemio-radioterapia. Un altro endpoint è stato la valutazione della risposta globale alla terapia neoadiuvante con dostarlimab, con o senza chemio-radioterapia.

    Su un totale di 16 pazienti 12 sono entrati in fase di arruolamento da più di 6 mesi e hanno completato i 9 cicli di trattamento con dostarlimab: la percentuale di quanti hanno ottenuto una risposta completa al trattamento è stata del 100%. Nessuno dei 12 ha avuto bisogno del trattamento chemio-radioterapico e del successivo intervento chirurgico ma ciò che sorprende (in positivo) ancora di più è che nessuno di loro sta mostrando segni di recidiva o di ricomparsa della malattia (un dato confermato anche dal referto della biopsia). Inoltre, nessuno di essi ha riportato eventi avversi di grado 3 o superiore, confermando l’ottimo profilo di tollerabilità di dostarlimab.

    Se è pur vero che una rondine non fa primavera e che questi dati - prodotti da una limitata casistica di studio - dovranno trovare conferma in trial clinici su una più ampia popolazione, è anche vero che un risultato del genere è fortemente indicativo della validità di farmaci cosiddetti inibitori del checkpoint immunitario come dostarlimab. Appare assodato che nel caso del carcinoma del retto gli effetti avversi della chemio-radioterapia comprendano ricadute sulla fertilità e sulla funzionalità renale e intestinale, ed è chiaro che occorre metter a punto programmi terapeutici mirati da applicare in maniera sempre più individualizzata in base alle caratteristiche del tumore.

    Altri studi clinici avevano dimostrato la buona risposta ai farmaci immunoterapici nei pazienti con deficit nel sistema di riparazione del DNA ma lo studio dei ricercatori newyorkesi conferma la solida risposta prodotta in malati colpiti da adenocarcinoma del retto in fase avanzata, suggerendo la possibilità che in un futuro non troppo lontano questi farmaci possano entrare a pieno titolo nei protocolli di trattamento di questo tipo di tumore.

  • Al recente congresso ESMO 2022, il simposio della Società Europea di Oncologia Medica che si è tenuto a Parigi, sono stati presentati i risultati preliminari dello studio clinico NICHE-2 (NL58483.031.16, EudraCT 016-002940-17) che mostrano come i pazienti affetti da cancro del colon-retto localmente avanzato con deficit nel sistema di riparazione dei mismatch (dMMR — MisMatch Repair deficient) rispondano in modo ottimale all’immunoterapia neoadiuvante.

    Durante il suo intervento, Myriam Chalabi, coordinatrice del gruppo di ricerca di NICHE-2, ha spiegato come la combinazione dei due farmaci immunoterapici, nivolumab e ipilimumab, si sia dimostrata efficace nel determinare una risposta patologica maggiore (MPR) nel 95% dei partecipanti e una risposta patologica completa (pCR) nel 67%, a differenza di quanto avviene con la chemioterapia neoadiuvante che porta a una risposta patologica solo nel 7% dei casi.

    L’immunoterapia neoadiuvante, ovvero quella somministrata prima dell’intervento chirurgico di rimozione del tessuto tumorale, aveva già dimostrato il suo potenziale nel corso di NICHE-1 (NCT03026140), il precedente studio di fase II pubblicato nel 2020 su Nature Medicine nel quale il 100% dei pazienti (20) avevano raggiunto una risposta patologica maggiore.

    Questi incoraggianti risultati hanno portato il gruppo di ricerca guidato da Chalabi ad ampliare il numero dei partecipanti nello studio multicentrico non randomizzato NICHE-2 che coinvolgerà un totale di 130 pazienti con adenocarcinoma del colon-retto localmente avanzato eleggibili per l’intervento chirurgico.

    Disegno dello studio e primi risultati

    Lo studio clinico NICHE-2 prevede la somministrazione di un ciclo di ipilimumab (1 mg/kg), due cicli di nivolumab (3 mg/kg) a distanza di due settimane e l’intervento chirurgico dopo massimo 6 settimane dall’inizio della terapia.

    Gli obiettivi primari sono quelli di valutare la fattibilità e la sicurezza del trattamento e la sopravvivenza libera da malattia (DFS — Disease Free Survival) a 3 anni dall’inizio dello studio mentre gli obiettivi secondari sono la risposta patologica maggiore (MPR) e la risposta patologica completa (pCR).

    Durante ESMO 2022 Chalabi ha presentato i dati che riguardano la risposta patologica e la valutazione della sicurezza e della fattibilità.

    Schermata 2022 10 04 alle 14.55.35Il totale dei 112 pazienti finora trattati è andato incontro all’intervento chirurgico senza gravi effetti collaterali e ha ottenuto margini di resezione liberi dal tumore (R0). Solamente 3 pazienti hanno dovuto ritardare l’intervento.

    In termini di risposta alla terapia, il 95% dei pazienti ha raggiunto una risposta patologica maggiore, ovvero una percentuale di cellule tumorali vitali nel pezzo operatorio inferiore al 10%, e il 67% dei pazienti ha avuto addirittura una risposta patologica completa ovvero l’assenza di cellule tumorali vitali nel tumore e nei linfonodi asportati.

    Immunoterapia neoadiuvante e prospettive future

    Nonostante lo studio non sia ancora concluso e si abbiano solo dati preliminari che riguardano la sopravvivenza, appare importante osservare quanto l’immunoterapia neoadiuvante dia risultati nettamente maggiori rispetto alla chemioterapia neoadiuvante nei pazienti con cancro del colon-retto con deficit del sistema di riparazione dei mismatch (dMMR).

    Secondo quanto concluso dal gruppo di ricerca di NICHE-2 nella loro presentazione per ESMO 2022, i primi dati sulla sopravvivenza suggeriscono un elevato potenziale dell’immunoterapia neoadiuvante nel diventare presto lo standard di trattamento. Inoltre, i risultati aprono le porte all’esplorazione di approcci chirurgici meno invasivi sul colon-retto.

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