Potremo avere un gemello digitale per predire le nostre malattie e gli effetti dei farmaci?
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Potremo avere un gemello digitale per predire le nostre malattie e gli effetti dei farmaci?

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Durante questi anni di pandemia da coronavirus si è assistito a repentine variazioni nei settori della sanità pubblica e della ricerca biomedica che hanno dato nuova linfa vitale all’innovazione permettendo di cogliere nuove opportunità e accettare le sfide del futuro della salute.

Con l’aumento del numero di assistiti, soprattutto quelli in età più avanzata, e una riduzione delle risorse economiche e umane destinate ai sistemi sanitari è necessario accelerare la transizione al digitale e sarà sempre più importante focalizzare l’attenzione in particolare sulla prevenzione, sulla capacità di predire l’andamento delle malattie e sulla personalizzazione dei trattamenti.

Per andare in questa direzione non si potrà fare a meno di una delle risorse meno sfruttate dai sistemi sanitari: i pazienti. Oltre a fornire la loro esperienza da fruitori dei servizi sanitari e le idee per migliorarli e innovarli,

i pazienti sono un’incredibile fonte di dati che possono essere raccolti ed elaborati a vantaggio di tutti.

Come sottolinea Alberto E. Tozzi, ex direttore dell’Unità innovazione e percorsi clinici dell’Ospedale pediatrico Bambin Gesù, nel suo libro "Impazienti — la medicina basata sull’innovazione “non ci accorgiamo di essere seduti su una miniera d’oro e ancora non siamo in grado di sfruttare il mare di informazioni che ci circonda. […] Dovremo avere sistemi efficienti in grado di estrarre dati, combinarli tra loro, valutarne la qualità e consentire rapide analisi.”

DIGITAL TWIN

Una delle idee che sta prendendo piede negli ultimi anni in questo ambito è quella dell’applicazione del concetto ingegneristico di digital twin in medicina. Il digital twin o gemello digitale è stato descritto nel 2018 da Cimino et al. come una copia virtuale di un sistema fisico che è continuamente aggiornata con i dati più recenti raccolti per mezzo di sensori.

Si tratta di un clone digitale di un oggetto, un prodotto, un processo o un sistema che permette, in particolar modo, di predirne il comportamento grazie alla continua monitorizzazione.

L’applicazione in medicina di questo concetto viene chiamato digital patient. Un paziente digitale è una copia virtuale di un paziente che viene costruita basandosi sui dati raccolti da diverse fonti, da quelle strettamente mediche, come le analisi di laboratorio e le immagini radiologiche, fino a quelle che comprendono apparecchi indossabili come gli smartwatch o le applicazioni degli smartphone.

La grande differenza tra un gemello digitale di un oggetto e un paziente digitale sta nel fatto che mentre per un oggetto si ha a disposizione il progetto originale e quindi si conosce lo stato di partenza delle diverse componenti ed è più facile sapere quali dati raccogliere per studiarne l’evoluzione, per un paziente è praticamente impossibile ottenere dati e informazioni che riguardano ogni singola cellula a partire dal concepimento.

Nonostante il paziente digitale possa rappresentare quindi solo una parte del paziente reale, questa tecnologia può migliorare la capacità di predire i risultati degli studi clinici e aiutare a promuovere un cambio di paradigma in medicina: dall’approccio reattivo a quello preventivo.

IL PAZIENTE VIRTUALE NELLA RICERCA CLINICA

Il paziente digitale comprende al suo interno il virtual patient o paziente virtuale, un insieme di modelli e simulazioni che permettono di ricreare processi fisiologi e patologici che avvengono all’interno di una persona in carne e ossa. È possibile creare un paziente virtuale per il settore farmacologico, che quindi simula processi che riguardano l’assunzione di un farmaco, oppure per il settore dei dispositvi medici che ricrea quei processi legati all’effetto di un apparecchio su un organo o tessuto.

Il paziente virtuale, quindi, può teoricamente essere usato per predire, per mezzo delle simulazioni, dati clinici riguardanti l’efficacia e la sicurezza di un farmaco o di un apparecchio su un dato paziente o su gruppi di pazienti con caratteristiche simili.

Per questo motivo, il paziente virtuale potrebbe diventare un importante alleato della ricerca clinica potendo sostituire, per esempio, l’impiego di volontari sani nei gruppi di controllo oppure prevedere gli eventuali effetti indesiderati dei farmaci sui partecipanti a uno studio, consentendo ai ricercatori di evitarne la comparsa modulando la somministrazione del farmaco.

IL FUTURO

Per ora questo approccio è promettente dal punto di vista teorico ma lo sviluppo della tecnologia è ancora allo stadio embrionale. Le applicazioni nella ricerca clinica e nella medicina sono scarse a causa dell’elevato costo delle tecnologie necessarie, della carenza delle infrastrutture utili alla raccolta dati e del problema di privacy che ne consegue.

Lo sviluppo di internet, l’invenzione degli smartphone, l’intelligenza artificiale e altre rivoluzioni digitali degli ultimi decenni ci hanno però insegnato che nulla è impossibile e che l’innovazione scorre veloce e inesorabile. Riusciremo a vedere anche la nascita del nostro gemello digitale?

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