Un gruppo di ricercatori statunitensi lancia l’allarme: una simile lacuna di informazioni può impattare negativamente su diagnosi e trattamento della malattia
In uno studio pubblicato sull’Orphanet Journal of Rare Diseases, i ricercatori statunitensi della Johns Hopkins University di Baltimora hanno identificato una sostanziale mancanza di dati relativi all’etnia dei pazienti contelangectasia emorragica ereditaria coinvolti nelle sperimentazioni cliniche, un aspetto che potrebbe avere delle conseguenze sul trattamento e la diagnosi della patologia. La pubblicazione, una revisione sull’utilizzo del farmaco bevacizumab, conferma le già note preoccupazioni riguardo all’attuale progettazione dei trial clinici, che spesso escludono le popolazioni di pazienti meno rappresentate.
LA MALATTIA
La telangectasia emorragica ereditaria (HHT), anche nota come sindrome di Osler-Weber-Rendu, è una rara condizione ereditaria caratterizzata da dilatazione dei vasi sanguigni muco-cutanei (telangiectasia) e da malformazioni arterovenose viscerali che possono causare sanguinamenti e complicazioni a carico di diversi organi. Come spiegato sul sito della National Organization for Rare Disorders (NORD), la patologia è stata descritta per la prima volta da Henry Gawen Sutton nel 1864. Dato che la HHT ha sintomi simili a quelli dell'emofilia, le due malattie furono differenziate da Henri Jules Louis Marie Rendu solo nel 1896. Successivamente, William Osler accertò la presenza della HHT in alcune famiglie per stabilire che si trattava di un disturbo ereditario. Nel 1907, Frederick Parkes Weber continuò la caratterizzazione della malattia e due anni dopo fu coniato il nome di "telangectasia emorragica ereditaria”.
La HHT è una malattia ereditaria, a trasmissione autosomica dominante, causata da diverse mutazioni genetiche (ad oggi sono cinque i geni coinvolti identificati: ENG, ACVRL1, SMAD4, RASA1 e BMPR9), e colpisce maschi e femmine in egual misura. Il sanguinamento spontaneo e ricorrente dal naso (epistassi) è spesso il primo segnale della patologia, ma la malformazione dei vasi sanguigni può provocare anomalie ed emorragie a carico di polmoni, cervello, midollo spinale e fegato. I sintomi e la loro gravità variano da caso a caso e dipendono dal gene coinvolto. Nel 90% delle persone affette la malattia si manifesta entro i 40-45 anni, ma le epistassi ricorrenti iniziano a presentarsi durante la pubertà.
La HHT è notoriamente sottodiagnosticata: infatti, stando ai dati sulla prevalenza della malattia (un caso su 6mila persone secondo Orphanet), i pazienti coinvolti dovrebbero essere più di un milione a livello mondiale ma le diagnosi effettive sono molte meno. Per questa patologia non c’è una cura, ma esiste una varietà di trattamenti per la gestione dei sintomi, in grado di migliorare la qualità della vita dei pazienti e prevenire le complicazioni potenzialmente letali. Con una diagnosi precoce e una terapia adeguata, le persone affette da HHT possono avere un'aspettativa di vita quasi normale.
LO STUDIO
La revisione condotta dai ricercatori americani ha inizialmente identificato 79 studi clinici pubblicati aventi come oggetto l’utilizzo per via endovenosa del farmaco bevacizumab, un anticorpo monoclonale già usato come terapia per alcuni tumori, quale trattamento di “ultima istanza” per persone affette da HHT in forma grave: per l’analisi sono stati poi selezionati soltanto 4 studi clinici, condotti negli Stati Uniti tra il 2014 e il 2019, che hanno permesso di valutare i dati di 58 pazienti in totale.
Pur fornendo informazioni su età, sesso e mutazioni genetiche dei pazienti, nessuno dei quattro studi selezionati ha riportato l'etnia dei partecipanti nei propri risultati, creando una lacuna potenzialmente grave nella capacità di comprendere l'efficacia di bevacizumab in popolazioni di pazienti con HHT di diversa razza. Simili disparità sono state identificate in precedenza anche in studi riguardanti malattie molto più diffuse, come il diabete o l’ipertensione.
Gli autori della ricerca sono consapevoli del limite intrinseco di un’analisi che riguarda soltanto 4 studi clinici, ma il campanello d’allarme è stato lanciato perché la mancanza di dati rilevata può influenzare l’efficacia dei trattamenti e il processo decisionale dei pazienti che si trovano ad affrontare una malattia cronica. Gli studiosi statunitensi sostengono che l'esclusione di informazioni demografiche ed etniche negli studi clinici potrebbe essere il risultato dei cosiddetti pregiudizi impliciti, ovvero di pensieri e azioni inconsapevoli che però portano a confermare stereotipi. Il timore dei ricercatori è che, se alcuni gruppi di pazienti restano sottorappresentati negli studi sulla HHT, le conoscenze relative alla diagnosi e al trattamento della patologia potrebbero essere distorte, creando difficoltà nello sviluppo di terapie specifiche e problemi etici nell’assistenza sanitaria.
Le disparità nell’ambito della salute, specialmente in alcuni Paesi, sono il frutto di discriminazioni di lunga data e gli unici a pagarne le conseguenze sono i pazienti. Nel caso delle più comuni malattie croniche non trasmissibili (ad esempio diabete e ipertensione), le persone appartenenti a minoranze etniche continuano ad avere esiti di salute peggiori, anche in presenza di variabili sociodemografiche simili e nonostante i sostanziali progressi nelle terapie mediche per queste patologie.
Al di là della HHT, il problema della rappresentatività nei trial clinici è ormai noto: basti pensare che la maggior parte delle sperimentazioni non include persone di sesso femminile, che rappresentano oltre il 50% della popolazione mondiale.
Da ormai qualche anno si inizia a porre l’attenzione su questi problemi e l’auspicio è che si possa riuscire, in un futuro a breve termine, a condurre studi clinici quanto più rappresentativi possibile, per garantire un’assistenza sanitaria equa ed efficace per tutti.