"I nuovi antivirali che prevengono gravi malattie e morte da COVID-19, in particolare i farmaci orali che potrebbero essere assunti a casa all'inizio della malattia – ha affermato pochi giorni fa Anthony Fauci, capo medico consigliere del presidente e direttore del NIAID – sarebbero strumenti potenti per combattere la pandemia e salvare vite".
Gli Stati Uniti guardano quindi alla prossima generazione dei farmaci anti-Covid. Dei fondi stanziati per l’American rescue plan, il corrispettivo del Recovery plan europeo, oltre tre miliardi di dollari verranno destinati alla ricerca clinica sui farmaci antivirali per combattere l’infezione da Sars-CoV2. L’obiettivo specifico è impedire che le persone che hanno contratto l’infezione progrediscano verso la malattia grave o, ancor peggio, la morte. A fianco della massiccia campagna vaccinale, sostengono gli esperti, è importante prevedere interventi farmacologici di supporto. Il virus va incontro a frequenti mutazioni e, per quanto le tecnologie attualmente a disposizione riescano a produrre vaccini efficaci per le varianti, è necessario avere a disposizione farmaci che prevengano la malattia grave. Il Programma antivirale per le pandemie, lanciato lo scorso 17 giugno dal Dipartimento della salute dei servizi umani (HHS), destinerà le risorse sui farmaci più promettenti. In particolare, l’amministrazione americana guarda con fiducia a AT-527, sviluppato da Atea Pharmaceuticals, in collaborazione con Roche, e a PF-07321332, prodotto dalla Pfizer.
Se le sperimentazioni daranno esiti positivi e incoraggianti, i farmaci antivirali potranno essere messi a disposizione dei clinici già entro la fine del 2021. "Attraverso collaborazioni multidisciplinari tra i principali scienziati del mondo accademico e industriale – ha sottolineato Anthony Fauci – questo investimento dell'American Rescue Plan per creare il programma antivirale per le pandemie aiuterà a ispirare l'innovazione medica e a sfruttare lo straordinario successo che abbiamo visto nello sviluppo dei vaccini COVID-19".
In verità, il programma degli Stati Uniti opta per una strategia ancor più lungimirante. Secondo obiettivo dello stanziamento di risorse è infatti costruire piattaforme per la ricerca sui farmaci antivirali destinati al trattamento di altri virus dal potenziale pandemici, nell’ottica di garantire una migliore preparazione medico-sanitaria nella gestione di future potenziali pandemie. Un esempio tra tutti è rappresentato dai flavivirus e dei togavirus, responsabili di diverse malattie infettive oggi presenti in varie zone del mondo.
In Europa, allo stato attuale, l’unico antivirale approvato dall’EMA è il Veklury, prodotto dall’azienda Gilead Sciences e utilizzato in precedenza contro ebola. Questo farmaco utilizza come principio attivo il remdesivir, già noto alle cronache: un inibitore dell’enzima virale Rna polimerasi che interferisce con la produzione dell’Rna virale prevenendone la replicazione. Tra quelli sperimentali, Il farmaco attualmente in fase più avanzata è Molnupiravir, sviluppato da Merck e da biotech Ridgeback Biotherapeutics.
Secondo l’EMA almeno 10 medicinali hanno superato la fase pre-clinica.
Ma l’Europa si sta muovendo anche sul fronte vaccinale, in particolare attraverso l’implementazione di vaccini che proteggano anche dalle varianti del virus. “Stiamo lavorando per sviluppare la seconda generazione di vaccini mRNA – ha affermato Fabio Landazabal, presidente e amministratore delegato di GlaxoSmithKline (GSK) – La priorità adesso è coprire la maggior parte della popolazione mondiale. Seguirà una nuova fase di sviluppo per consolidare le vaccinazioni primarie fatte fino a oggi. Andiamo avanti con lo studio sui vaccini proteici e a mRNA". In Europa si aspettavano i risultati clinici del vaccino a mRNA tedesco CureVac, frutto anche della collaborazione con GSK. L’esito degli studi ha però spento l’entusiasmo; la notizia, recentissima, riporta un’efficacia del vaccino pari solo al 48%. Ma oltre a CureVac, Ema sta passando al vaglio anche il vaccino cinese Sinovac (Vero Cell), il russo Sputnik e lo statunitense Novavax. Quest’ultimo, in particolare, risulta dai dati sperimentali molto efficace (la percentuale si attesta intorno al 90%), e si differenzia da tutti gli altri, in quanto appartiene alla categoria dei vaccini proteici. Realizzati utilizzando la sequenza RNA del virus e sintetizzando proteine o frammenti di proteine del capside virale, i vaccini proteici vengono iniettati nell’organismo in combinazione con sostanze che esaltano la risposta immunitaria. In questo modo viene indotta la risposta anticorpale da parte dell’individuo. In ogni modo, ha chiarito pochi giorni fa Noel Wathion, vicedirettore esecutivo dell’Ema – “per tutti questi vaccini la revisione continua fino a quando l’Ema non avrà prove sufficienti per una domanda formale di autorizzazione all’immissione in commercio”.