Una nuova speranza per la seconda linea di trattamento
Uno studio pubblicato su The Lancet Oncology ha scoperto che il trattamento con ramucirumab e gemcitabina migliorerebbe significativamente la sopravvivenza generale dopo la chemioterapia di prima linea, rendendola una potenziale seconda linea di terapia per combattere il mesotelioma pleurico.
Il mesotelioma pleurico è una malattia rara che colpisce la zona toracica e ha un basso tasso di sopravvivenza. È spesso diagnosticata in stadio avanzato, il che rende il suo trattamento estremamente difficile. Negli ultimi venti anni l’unica terapia esistente era il trattamento di prima linea con pemetrexed e platino. Il pemetrexed è un farmaco chemioterapico che inibisce la produzione di DNA e RNA, impedendo la proliferazione del tumore, e viene generalmente somministrato con il platino. Il trattamento di prima linea, però, potrebbe non essere più l’unica terapia disponibile.
Grazie al trial clinico denominato “A Double Blind, Placebo Controlled, Randomized Phase II Study Evaluating Gemcitabine With or Without Ramucirumab , for II Line Treatment MPM “ (RAMES) con a capo Carmine Pinto, direttore della Struttura Complessa di Oncologia dell’IRCCS Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, ci potrebbe essere una nuova speranza per una seconda linea di trattamento: abbiamo chiesto un approfondimento proprio a lui.
Cos’è il mesotelioma pleurico?
“Il mesotelioma pleurico è una malattia che ha un'incidenza di circa 1200 o 1400 casi l’anno. Ha una forte correlazione con il contesto lavorativo e sociale poiché indice di una pregressa esposizione all’amianto, materiale che in Italia non si usa più dal ‘94. Purtroppo, però, dall’esposizione all’amianto alla comparsa della malattia si può attendere anche 40 anni. Oggi abbiamo a disposizione una linea di trattamento utilizzata da vent’anni, la chemioterapia con platino e pemetrexed e, fino a poco tempo fa, non avevamo individuato delle seconde linee di trattamento. Questo significa che c’era la necessità, specialmente per i pazienti con questo tipo di tumore non resecabile, di avere una strategia di trattamento alternativa”.
In cosa consisteva il progetto e qual era il suo scopo?
“Si tratta di uno studio in seconda linea, con 26 centri italiani che hanno reclutato 160 pazienti in meno di due anni. Lo studio era randomizzato in cieco e prevedeva un braccio sperimentale con gemcitabina e ramucirumab e il braccio di controllo rappresentato da gemcitabina e placebo. Lo scopo era quello di trovare una linea di trattamento, dopo la prima linea di chemioterapia con platino e pemetrexed, inserendo una nuova classe di farmaci anti-angiogenetici, in questo caso il ramucirumab, combinata con la terapia attualmente utilizzata con gemcitabina. Quello che ci aspettavamo era che, aggiungendo ramucirumab alla gemcitabina, si potessero ottenere dei buoni risultati in termini di sopravvivenza media dei pazienti”.
Quali sono stati i risultati?
“I risultato hanno raggiunto l'obiettivo prefissato. Il braccio trattato con ramucirumab e gemcitabina ha un vantaggio in sopravvivenza rispetto al braccio trattato con solo gemcitabina. La sopravvivenza mediana per i primi, infatti, è di 13,8 mesi, mentre i secondi hanno una sopravvivenza media di 7,5 mesi. Questo trial è stato, dunque, fondamentale poiché potrà cambiare la strategia terapeutica in questi pazienti. Valutando la sopravvivenza a 12 mesi, questa è del 57 % per i pazienti trattati con ramucirumab e gemcitabina, mentre del 34% per il braccio di controllo. Abbiamo anche valutato se ci fosse una differenza nei risultati a seconda dell’età e abbiamo notato che lo stesso vantaggio in sopravvivenza media è sia per i pazienti al di sopra che al di sotto dei 70 anni. Inoltre, l’efficacia di questo trattamento non è inficiata neanche nei pazienti che avevano un periodo di risposta alla terapia di prima linea superiore ai sei mesi”.
Quale sarà il futuro per questa sperimentazione?
“Come dicevo, in futuro gemcitabina e ramucirumab potrebbero diventare la seconda linea con un vantaggio in sopravvivenza. È anche vero, però, che a breve avremo i risultati di uno studio che vede in prima linea l’utilizzo dell’immunoterapia con la combinazione di nivolumab e ipilimumab, trattamento che sembrerebbe più efficace della prima linea odierna con platino e pemetrexed. La strategia terapeutica potenzialmente potrebbe quindi cambiare con nivolumab e ipilimumab in prima linea, platino e pemetrexed in seconda linea e gemcitabina e ramucirumab in terza linea”.