È la prima terapia farmacologica sviluppata per contrastare le basi fisiopatologiche della patologia, ed è risultata in grado di produrre un marcato miglioramento della performance cardiaca della qualità di vita dei pazienti con la forma ostruttiva della malattia.
La prima descrizione medica della cardiomiopatia ipertrofica risale al 1907 e si deve al patologo tedesco Alexander Schmincke che tracciò un collegamento tra questa malattia e la comparsa di un’ostruzione del tratto di efflusso del ventricolo sinistro. A oltre cento anni di distanza la cardiomiopatia ipertrofica, oggi considerata una delle più diffuse affezioni genetica del muscolo cardiaco, ancora manca di un trattamento specifico: infatti, al di là dell’intervento chirurgico, le terapie attualmente disponibili si limitano ad agenti datati e non specifici, come i beta-bloccanti. Tutto ciò potrebbe però cambiare con l’arrivo di farmaci mirati, come quello protagonista dello studio clinico di Fase III EXPLORER-HCM.
I risultati di questo studio sono stati recentemente pubblicati sulle pagine della nota rivista The Lancet e mettono in rilievo i vantaggi ottenuti dal trattamento dei pazienti con Mavacamten, un inibitore allosterico della beta-miosina, creato appositamente per agire sui meccanismi patofisiologici della cardiomiopatia ipertrofica, riducendo l’eccesso di contrattilità e il dispendio energetico del miocardio e favorendo al contempo un aumento delle dimensioni del ventricolo sinistro.
LA CARDIOMIOPATIA IPERTROFICA
“La cardiomiopatia ipertrofica è una causa frequente di morte improvvisa e di sintomi limitanti in particolare nei giovani sportivi ed è legata alle mutazioni dei geni per le proteine sarcomeriche, cioè quelle che regolano la contrazione cardiaca”, spiega il prof. Iacopo Olivotto, responsabile della Unità Cardiomiopatie presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze. “Come in una sorta di doping naturale causato dalla mutazione, tali proteine vengono iperattivate, provocando un’ipercontrattilità del cuore, il quale va incontro a ispessimento, conseguente all’ipertrofia della massa, e a un dispendio energetico spesso non sostenibile. Fortunatamente, oggigiorno la patologia viene prontamente riconosciuta e intercettata nei giovani, compresi molti atleti prima della partecipazione agonistica, ma diversi pazienti tra la quinta e la sesta decade di vita si ritrovano a fare i conti con un esaurimento funzionale del muscolo cardiaco e una sostituzione fibrosa che può avere conseguenze severe”. La cardiomiopatia ipertrofica è una malattia trasmessa con carattere autosomico dominante che colpisce un individuo ogni cinquecento e in molti casi presenta un quadro clinico dominato da dispnea, dolore e vertigini. “Nel 30% dei pazienti i sintomi sono causati da ostruzione all’efflusso del ventricolo sinistro”, prosegue Olivotto. “Si crea un’ostruzione all’uscita del ventricolo sinistro che fa sì che il sangue trovi un ostacolo importante, per una stenosi causata dal contatto della valvola mitralica con il muscolo ipertrofico. Pertanto, si tende ad intervenire chirurgicamente per asportare una parte del muscolo e restaurare il flusso normale”. Oppure si ricorre ai farmaci della classe dei beta-bloccanti o alcuni calcio-antagonisti che favoriscono il riempimento del ventricolo; si tratta però di molecole prese a prestito dal trattamento di altre patologie che, di conseguenza non arrivano alla radice del problema. Per tale ragione sono necessari approcci terapeutici di nuova generazione.
LO STUDIO EXPLORER-HCM
Condotto presso 68 centri cardiovascolari dislocati in 13 Paesi - fra cui l’Italia - EXPLORER-HCM è uno studio clinico di Fase III, randomizzato, in doppio cieco, nel quale sono stati confrontati i risultati prodotti da un braccio di trattamento con quelli di un braccio di controllo. Lo studio ha arruolato 251 pazienti (123 inseriti nel gruppo trattato con Mavacamten e 128 nel gruppo con placebo) affetti da una forma ostruttiva e sintomatica di cardiomiopatia ipertrofica: sono stati, quindi, esclusi dallo studio coloro che avevano una sintomatologia severa (ad esempio grave dispnea o sincope) tale da richiedere l’intervento chirurgico - per costoro è in corso uno specifico studio clinico, VALOR-HCM, utile a valutare se Mavacamten sia in grado di ritardare o addirittura evitare l’intervento chirurgico.
“In EXPLORER-HCM è stata indagata nel dettaglio l’azione di Mavacamten, quale interferente con l’eccessiva funzione di contrazione del muscolo cardiaco, allo scopo di ottenere una riduzione pilotata della contrazione”, spiega il prof. Olivotto che è anche il primo autore dello studio apparso sulla rivista The Lancet. “Mavacamten agisce come una sorta di freno a mano, permettendo un minor consumo energetico da parte del cuore. Negli studi sui modelli animali è stata osservata una regressione della alterazioni anatomiche legate alla malattia, compresa una riduzione della fibrosi. Ovviamente, ci vorrebbero anni per replicare tali risultati nell’uomo, una tempistica fuori dalla portata di uno studio clinico prospettico. Tuttavia, i risultati di EXPLORER-HCM hanno evidenziato un miglioramento funzionale a breve termine delle capacità di sforzo e un marcato alleviamento della sintomatologia. Un sotto-studio di EXPLORER-HCM sui parametri ecocardiografici ha mostrato, inoltre, risultati promettenti sul rimodellamento ventricolare dell’atrio e del ventricolo sinistro, che fa ben sperare per la sua efficacia a lungo termine”.
Infatti, l’endpoint primario del trial clinico a 30 settimane dall’assunzione del farmaco era un miglioramento nel consumo di ossigeno durante il test da sforzo, associato a un incremento della classe NYHA (New York Heart Association) per la valutazione funzionale del paziente. Gli endpoint secondari sono stati la riduzione del gradiente ventricolare e un aumento della qualità di vita misurata tramite specifici punteggi. “Non ci sono stati eventi avversi di tipo grave e irreversibile, a conferma del buon profilo di sicurezza del farmaco”, prosegue l’esperto fiorentino. “Sul piano dell’efficacia, il 65% dei pazienti trattati con Mavacamten è migliorato di almeno una classe funzionale sulla scala NYHA rispetto al 31% nel gruppo del placebo. La qualità di vita dei malati è migliorata in maniera netta, quasi come se fossero stati sottoposti all’intervento chirurgico. Anche i biomarcatori cardiaci, cioè il proBNP e la troponina, che sono marcatori rispettivamente di stress e danno cardiaco, si sono riportati verso l’intervallo di normalità a conferma dei benefici emodinamici osservati”.
LE PROSPETTIVE
“Nel complesso i dati di EXPLORER-HCM dovrebbero portare all’approvazione del farmaco da parte della Food and Drug Administration (FDA) statunitense entro l’inizio dell’anno prossimo”, conclude Olivotto. “Mentre ci si aspetta che l’approvazione dell’EMA giunga un pò più tardi, intorno alla fine del 2022”. Nonostante EXPLORER-HCM sia una sperimentazione conclusa, è attivo anche in Italia lo studio di estensione aperto a tutti coloro che nel corso di EXPLORER-HCM hanno ricevuto il placebo, da cui sono attese conferme in termini di sicurezza ed efficacia. Un ulteriore segnale della direzione intrapresa è dato dal fatto che, si è da poi conclusa una sperimentazione clinica di Fase II su Aficamten, un farmaco della stessa classe di Mavacamten. Pertanto ci si augura che fra qualche anno il percorso clinico dei pazienti affetti da cardiomiopatia ipertrofica possa essere arricchito da queste nuove interessanti molecole.