Un anticorpo monoclonale contro i tumori del retto in fase avanzata

Un anticorpo monoclonale contro i tumori del retto in fase avanzata

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Ottime premesse dai risultati di uno studio clinico di Fase II su 12 pazienti con deficit del sistema di riparazione del DNA

Tra le neoplasie diffuse in Italia il cancro del colon-retto è una delle più note, interessando quasi in egual misura maschi e femmine (con un leggero aumento in termini numerici nei primi rispetto alle seconde). Sono oltre 43 mila le nuove diagnosi poste in un anno e il cammino terapeutico dei pazienti appare spesso lungo e articolato, necessitando di chemioterapia, radioterapia e anche dell’intervento chirurgico. Ma (in un futuro prossimo) il contribuito a un cambiamento della pratica vigente potrebbe giungere dai dati da poco pubblicati sulla rivista The New England Journal of Medicine relativi all’utilizzo di un anticorpo monoclonale (dostarlimab) in individui affetti da adenocarcinoma del retto in fase avanzata con un deficit nel sistema di riparazione del DNA (MMR, Mismatch Repair).

Prima di entrare nel merito dei risultati dello studio è bene ricordare che uno dei meccanismi attraverso cui originano e si sviluppano i tumori è quello della creazione di difetti o inceppamenti nei meccanismi di riparazione del DNA; di fatto, le mutazioni che inducono instabilità del genoma devono esser tenute d’occhio perché possono portare a un più facile sviluppo del tumore. Nella descrizione dello studio clinico di cui sono stati presentati i risultati tale instabilità è stata valutata attraverso l’uso di test per determinare l’espressione nei pazienti di geni importanti fra cui MLH1, MSH1, MSH6 e PMS2 che svolgono una funzione essenziale nella riparazione del DNA: pazienti con un adenocarcinoma rettale di stadio II o III, con un punteggio ECOG (Eastern Cooperative Oncology Group) compreso tra 0 e 1 e una mancata espressione di questi geni sono stati considerati adatti all’arruolamento.

Attualmente, la strategia operativa per i tumori del retto localmente avanzati consiste nel far precedere all’intervento chirurgico un trattamento di chemio-radioterapia e, dopo la chirurgia, sottoporre il paziente a un altro regime di chemioterapia adiuvante a base di fluoropirimidina e oxaliplatino. Secondo quanto riportano gli autori dello studio - condotto presso il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York - questa strategia ha successo in un quarto dei pazienti ma si associa a un elevato tasso di complicazioni con un pesante impatto sulla qualità di vita dei malati. Se a ciò si aggiunge che nel 5-10% dei pazienti che presentano un deficit nel sistema di riparazione del DNA la risposta al trattamento è molto limitata, si comprende come siano necessarie nuove opportunità di cura. Come quelle offerte da anticorpi monoclonali quali dostarlimab un anti-PD-1 (Programmed Death-1), già approvato dalla Commissione Europea per il trattamento del cancro endometriale ricorrente o avanzato.

Il protocollo attuato dagli oncologi statunitensi si rifà ad uno studio prospettico di Fase II a singolo gruppo che prevedeva la somministrazione endovenosa di dostarlimab alla dose di 500 mg ogni 3 settimane per sei mesi (un totale di 9 cicli), a cui far seguire il trattamento di chemio-radioterapia e poi di chirurgia; tuttavia, a quanti avessero ottenuto una risposta completa dopo la sola terapia con dostarlimab sarebbe stata risparmiata questa seconda parte per essere mantenuti sotto stretta osservazione (il periodo di follow-up prevedeva controlli a 6 settimane, 3 mesi e 6 mesi e poi ogni 4 mesi dall’inizio del trattamento).

L’obiettivo principale dello studio è stata la valutazione della risposta completa a 12 mesi dal completamento della terapia con dostarlimab (nei pazienti che non hanno avuto bisogno dell’intervento chirurgico) e della risposta patologica completa dopo il completamento della terapia con dostarlimab con o senza chemio-radioterapia. Un altro endpoint è stato la valutazione della risposta globale alla terapia neoadiuvante con dostarlimab, con o senza chemio-radioterapia.

Su un totale di 16 pazienti 12 sono entrati in fase di arruolamento da più di 6 mesi e hanno completato i 9 cicli di trattamento con dostarlimab: la percentuale di quanti hanno ottenuto una risposta completa al trattamento è stata del 100%. Nessuno dei 12 ha avuto bisogno del trattamento chemio-radioterapico e del successivo intervento chirurgico ma ciò che sorprende (in positivo) ancora di più è che nessuno di loro sta mostrando segni di recidiva o di ricomparsa della malattia (un dato confermato anche dal referto della biopsia). Inoltre, nessuno di essi ha riportato eventi avversi di grado 3 o superiore, confermando l’ottimo profilo di tollerabilità di dostarlimab.

Se è pur vero che una rondine non fa primavera e che questi dati - prodotti da una limitata casistica di studio - dovranno trovare conferma in trial clinici su una più ampia popolazione, è anche vero che un risultato del genere è fortemente indicativo della validità di farmaci cosiddetti inibitori del checkpoint immunitario come dostarlimab. Appare assodato che nel caso del carcinoma del retto gli effetti avversi della chemio-radioterapia comprendano ricadute sulla fertilità e sulla funzionalità renale e intestinale, ed è chiaro che occorre metter a punto programmi terapeutici mirati da applicare in maniera sempre più individualizzata in base alle caratteristiche del tumore.

Altri studi clinici avevano dimostrato la buona risposta ai farmaci immunoterapici nei pazienti con deficit nel sistema di riparazione del DNA ma lo studio dei ricercatori newyorkesi conferma la solida risposta prodotta in malati colpiti da adenocarcinoma del retto in fase avanzata, suggerendo la possibilità che in un futuro non troppo lontano questi farmaci possano entrare a pieno titolo nei protocolli di trattamento di questo tipo di tumore.


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