La rivoluzione dell’oncologia parte dal tumore al seno: gli studi clinici con anticorpi coniugati

La rivoluzione dell’oncologia parte dal tumore al seno: gli studi clinici con anticorpi coniugati

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Dott. Paolo Tarantino: “Da anni non si vedeva un tale risultato. Gli anticorpi coniugati stanno contribuendo a scrivere il nuovo corso dell’oncologia”

 

Tra le prime persone che la storia ricordi come affette da tumore alla mammella c’è Atossa, la Regina di Persia che, secondo le ricostruzioni di Erodoto, scelse di farsi operare da uno schiavo greco di nome Democede il quale presumibilmente asportò il tumore e parte del seno della Regina. Col senno del poi è impossibile stabilire da quale tipo di neoplasia fosse affetta la regnante Persiana ma, con buona probabilità oggi il suo piano terapeutico avrebbe potuto essere differente. Infatti, a metà degli anni Ottanta la collaborazione tra Axel Ullrich, un ricercatore tedesco della Genentech, e Dennis Slamon, oncologo dell’Università della California, condusse alla scoperta del ruolo del gene HER2, che codifica per una proteina presente sulla superficie cellulare del tumore: fu una pietra miliare per la distinzione dei tumori alla mammella HER2+ (Her2-positivi), con prognosi peggiore, da quelli HER2- (Her2-negativi). E fu anche un passo fondamentale sulla strada di una medicina personalizzata.

A quasi trent’anni da quel momento, medici e ricercatori riunitisi nella sala plenaria dove si è svolto l’ultimo Congresso della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO) hanno accolto con fervore la storica presentazione dei risultati dello studio Destiny-Breast04 incentrati sull’uso dell’anticorpo monoclonale coniugato trastuzumab deruxtecan contro il tumore alla mammella metastatico HER2Low. Ne abbiamo parlato con il prof. Paolo Tarantino, Research Fellow presso il Dana-Farber Cancer Institute e la Harvard Medical School di Boston, nonché oncologo presso l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano, che era a Chicago e ha assistito alla presentazione.

LE POTENZIALITA’ DI TRASTUZUMAB DERUXTECAN…

“Gli anticorpi coniugati come trastuzumab deruxtecan sono stati i grandi protagonisti dell’ultima edizione del Congresso ASCO”

afferma Tarantino. “Si tratta di un approccio basato sull’utilizzo di un anticorpo monoclonale strettamente legato ad un potente farmaco chemioterapico. Ciò permette di veicolare selettivamente la chemioterapia all’interno delle cellule tumorali”. Fino a poco tempo fa, l’unico anticorpo coniugato a disposizione per questo tipo di tumori era trastuzumab-emtansine (T-DM1), un farmaco che sfrutta l’over-espressione di HER2 per portare in maniera mirata il chemioterapico dentro le cellule del tumore. “Nella malattia HER2+ il gene HER2 è presente in più copie, e ciò significa che esiste una maggior espressione dell’omonima proteina a livello della membrana. Di conseguenza, l’attività proliferativa e la capacità di invasione del tumore aumentano”, spiega Tarantino.

“Per questi tumori, numerosi farmaci anti-HER2 sono efficaci, tramite la loro azione di blocco del pathway oncogenico di HER2, e/o tramite la capacità di veicolare farmaci citotossici presso le cellule overesprimenti HER2”. Trastuzumab-emtansine svolge bene questa funzione nel carcinoma mammario HER2+ che rappresenta circa il 20% di tutti i tumori del seno ma, come altri farmaci anti-HER2, non funziona nel rimanente 80% dei tumori, cioè quelli definiti HER2-, in cui non è presente l’amplificazione del gene HER2. In essi le cellule tumorali non sono dipendenti dall’attività del gene HER2, pertanto il blocco di tale pathway non sortisce risultati clinici soddisfacenti.

“Tutto ciò aiuta a comprendere per quale motivo i risultati dello studio Destiny-Breast04 siano stati accolti con una standing ovation che non si vedeva all’ASCO dal 2005 e che testimonia l’entusiasmo delle Comunità scientifica per quanto osservato nelle pazienti con tumore alla mammella HER2Low”,

prosegue Tarantino. “Attualmente, i tumori al seno con bassa espressione di HER2 (Her2Low) vengono per lo più trattati con ricorso all’ormonoterapia e/o con l’utilizzo di diverse linee di chemioterapia, che purtroppo perdono gradualmente di efficacia. Invece, i risultati esposti all’ASCO hanno dimostrato che la risposta delle pazienti trattate con trastuzumab deruxtecan aveva raggiunto circa il 50% rispetto al 15% del trattamento con la sola chemioterapia. E questo sia nel caso di una malattia HR+ (HR+, Hormone Receptor positive) che è la più frequente, sia nella malattia cosiddetta triple-negative che è la più aggressiva”.

L’impatto travolgente dei risultati dello studio Destiny-Breast04 è legato al fatto che fino a poco tempo fa l’espressione HER2Low non aveva un marcato valore clinico. “Non disponiamo di strumenti per distinguere in maniera adeguata i tumori mammari HER2- da quelli HER2Low”, precisa Tarantino. “Occorrerà sviluppare nuove e promettenti scale di valutazione oltre a nuove metodiche quantitative per attribuire al campione bioptico un punteggio più preciso. In questo senso, sarà fondamentale la concordanza di valutazione tra i patologi che dovranno procedere a una revisione delle attuali modalità di classificazione del tumore”.

Nel frattempo, la conferma della validità di trastuzumab deruxtecan giunge anche dagli esiti dello studio di Fase III Destiny-Breast03 in cui il farmaco portato sul mercato da AstraZeneca ha prodotto buoni risultati nella seconda linea di trattamento in donne affette da tumore mammario metastatico HER2+, riducendo di oltre il 70% il rischio di progressione della malattia rispetto a trastuzumab-emtansine. “È stato presentato un aggiornamento del profilo di sicurezza dal momento che si era visto che il farmaco poteva portare allo sviluppo di interstiziopatia polmonare nel 10% delle pazienti”, aggiunge Tarantino.

 

“I dati discussi all’ASCO mostrano che, pur con un follow-up prolungato, in seconda linea di trattamento non c’è stato alcun aumento dei casi di interstiziopatia polmonare. Occorre tuttavia essere molto attenti poiché gli effetti collaterali legati a questa classe di farmaci può non limitarsi alla nausea e al vomito. Ma trattando donne che non abbiano già ricevuto più linee di chemioterapia auspichiamo di ridurre ulteriormente la possibilità di vedere insorgere effetti collaterali di questo tipo”.

 

…E DEGLI ALTRI ANTICORPI CONIUGATI

 

L’attenzione per le pazienti con tumore mammario triple-negative è stata confermata anche dai risultati di uno studio clinico condotto su un altro anticorpo coniugato, sacituzumab govitecan, approvato per il trattamento del cancro della mammella triple-negative, metastatico o non resecabile, in donne che abbiano ricevuto in precedenza almeno due terapie sistemiche.

Sacituzumab govitecan agisce contro Trop-2, un’ulteriore proteina presente sulla superficie cellulare di molti tumori mammari. “Questo anticorpo monoclonale in precedenza ha dato un indubbio benefico di sopravvivenza nella malattia triple-negative e, nello studio presentato, è stato testato in pazienti con tumore alla mammella HR+ già pre-trattate con ormonoterapia e chemioterapia. Ne è emerso un incremento della sopravvivenza libera da progressione (PFS, Progression Free Survival) pur senza un incremento statisticamente significativo della sopravvivenza globale (obiettivo raggiunto invece nello studio Destiny-Breast04, n.d.r.)”.

Risultati interessanti sono giunti anche da un trial clinico di Fase I/II che impiegava patritumab deruxtecan, un altro anticorpo coniugato (stavolta anti HER3) in donne con tumore mammario metastatico.

“Bisognerà attendere ulteriori dati ma è evidente come gli anticorpi coniugati rappresentino una della categorie di farmaci più promettenti per il trattamento di tutti i sottotipi di tumore mammario”

conclude Tarantino. “Auspichiamo che trastuzumab deruxtecan sia presto disponibile in Italia con le nuove indicazioni discusse all’ASCO. Dall’altra parte dell’oceano l’eco sollevata è stata enorme e speriamo che raggiunga presto l’Europa e l’Italia. In particolare, nel nostro Paese allo IEO siamo stati i primi ad occuparci del tumore mammario HER2Low e questo, oltre ad essere di fondamentale rilevanza per molte donne che combattono con il tumore alla mammella, è motivo di orgoglio perché la strada intrapresa era corretta”.


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