Dott. Marco Lombardo (Roma): “È fondamentale una diagnosi tempestiva dal momento che prima si interviene e prima si arresta la progressione, preservando la vista”
Spesso i nomi delle specie viventi e delle malattie rimandano a situazioni o oggetti particolari che, per forma o funzione, suggeriscono un’analogia con il comportamento di un animale o i sintomi di una malattia: è questo il caso del cheratocono (dal greco keratos, “cornea” e konos, “cono”) che letteralmente significa “cornea a forma di cono”, riprendendo il profilo dell’elmo degli antichi soldati corinzi. In effetti, il cheratocono è una patologia degenerativa della cornea che si presenta nell’adolescenza e può progredire rapidamente determinando una riduzione della qualità visiva. Fino a qualche anno fa il trattamento d’elezione per la malattia era il trapianto di cornea ma fortunatamente di recente sono emerse alternative per ritardare o evitare questa pratica. E nuove opportunità di trattamento sono attualmente in valutazione.
“Nella genesi del cheratocono si incrociano tre componenti”, spiega il dott. Marco Lombardo, dello Studio Italiano di Oftalmologia di Roma. “La prima è genetica poiché si sa che circa il 15% dei malati presenta familiarità per la malattia. Poi c’è una chiara componente infiammatoria, dal momento che il cheratocono insorge spesso in giovani con congiuntivite allergica e, inoltre, molti di coloro che ne soffrono sono affetti anche da patologie della pelle, quali psoriasi o dermatite atopica. Infine, esiste una componente marcatamente geografica, poiché la prevalenza della malattia aumenta spostandosi verso l’equatore”. La principale caratteristica della malattia è l’assottigliamento della cornea, la quale perde consistenza e, facendosi molle, tende a cedere e deformarsi sotto la spinta del liquido (“umore acqueo”) presente all’interno del bulbo oculare: così la forma allungata che la cornea assume negli stadi più avanzati ha suggerito una somiglianza con l’elmo greco che i soldati spesso alzavano sopra gli occhi dando alla testa una forma “allungata”.
“Nel cheratocono rimane fondamentale fare diagnosi precoce dal momento che prima si interviene e prima si blocca la progressione, preservando la forma della cornea e quindi la capacità visiva”
precisa Lombardo. “Infatti, i prodotti terapeutici pensati per la cura della malattia hanno lo scopo di irrigidire il tessuto corneale ed evitare che esso continui a deformarsi”. Tra le soluzioni terapeutiche attualmente in studio per il cheratocono due sono particolarmente promettenti.
Studio Clinico RSKC001 - La Teranostica
Il trial clinico multicentrico ha l’obiettivo di validare la performance del modulo software di teranostica del dispositivo medico C4V CHROMO4VIS™ , progettato dalla startup italiana Regensight, nelle procedure di cross-linking corneale per il trattamento del cheratocono. “La tecnica del cross-linking prevede l’applicazione di un collirio a base di riboflavina sulla cornea del paziente e la successiva irradiazione con un fascio di luce ultravioletto (UV-A)”, afferma Lombardo. “La riboflavina eccitata dalla radiazione luminosa ad una specifica lunghezza d’onda innesca la reazione fotochimica che conduce all’irrigidimento della cornea”. Purtroppo, il follow-up dei pazienti che si sottopongono a questa procedura è lungo e difficoltoso, perciò con il trial clinico RSKC001 metterà alla prova il nuovo paradigma terapeutico della teranostica, sviluppato per personalizzare e migliorare la precisione e la sicurezza dell’intervento.
“Nel corso dell’intervento, il dispositivo C4V CHROMO4VIS™ misura la concentrazione di riboflavina nella cornea del paziente e guida il chirurgo ad ottenere la dose giusta per favorire l’irrigidimento del tessuto, dando così indicazione dell’efficacia terapeutica in tempo reale”, precisa l’esperto romano descrivendo lo studio condotto in tre centri Universitari sul territorio italiano:
L’obiettivo dello studio clinico è di validare il software associato al dispositivo chirurgico confrontando i dati raccolti al momento dell’intervento e quelli ottenuti dalla topografia corneale a un anno di distanza. Per tale ragione è previsto l’arruolamento di 50 pazienti, affetti da cheratocono, di età compresa tra i 18 e i 40 anni, i quali saranno sottoposti a un’attenta procedura di valutazione preoperatoria e, successivamente all’intervento, saranno monitorati a intervalli di tempo regolari (1 settimana, 1, 3, 6 e 12 mesi). “Al momento il trial è in corso e abbiamo già trattato 15 pazienti; attendiamo di completare lo studio entro la fine del 2023 quando effettueremo l’analisi dei dati a 12 mesi dall’intervento che, ci aspettiamo, aprirà la strada ad un nuovo concetto di medicina personalizzata e di precisione in campo oculistico”.
Un ulteriore vantaggio di questa tecnica terapeutica consiste nel fatto che grazie alla teranostica non sarà necessario praticare incisioni per rimuovere l’epitelio, la pellicola superficiale che ricopre la cornea, rendendo l’intervento estremamente sicuro. “Ad oggi, non avendo percezione dell’esito terapeutico nel momento stesso in cui esegue il trattamento di cross-linkging, la maggior parte dei medici toglie l’epitelio e somministra la riboflavina direttamente sul tessuto corneale così da assicurarsi che all’interno della cornea penetri una quantità sufficiente a permetterne l’irrigidimento sotto l’azione della luce UV-A”, precisa Lombardo. “Ma la rimozione dell’epitelio può provocare complicanze anche gravi, col rischio generare infezioni e cicatrizzazioni anomale alla cornea che portano a una riduzione della vista”. Con la teranostica il corretto dosaggio della riboflavina è assicurato dal controllo intelligente del software del dispositivo e non c’è necessità di rimozione dell’epitelio, azzerando il rischio di complicanze.
“Si tratta di una tecnica parachirurgica da eseguire una sola volta nella vita e senza la necessità di far accedere il paziente alla sala operatoria di chirurgia dal momento che l’intervento non interrompe l’integrità anatomica dell’occhio, con l’aspetto non secondario che stiamo osservando in molti pazienti operati anche di offrire un miglioramento della vista”.
Studio Clinico IVMED-80 – Il collirio di solfato di rame
La possibilità di curare il cheratocono senza il ricorso a un intervento chirurgico ha un valore importante poiché la malattia ha un considerevole impatto emotivo, generando stati d’ansia nei giovani che vedono cambiare la loro quotidianità e temono le conseguenze della patologia sulla loro vita professionale. Perciò, sono in fase di valutazione anche colliri, come quello sviluppato dall’azienda americana iVeena Delivery Systems, rinominato IVMED-80.
“Si tratta di una formulazione a base di solfato di rame, usato da decenni in varie preparazioni oftalmiche, come ad esempio per la cura della degenerazione maculare senile”
spiega Lombardo. “L’aggiunta di solfato di rame nella soluzione liquida in collirio ha lo scopo di rallentare il progressivo assottigliamento della cornea tipico del cheratocono”. I ricercatori americani hanno avviato un trial di Fase I/II per valutare la sicurezza e l’efficacia della somministrazione due volte al giorno di IVMED-80 in due coorti di pazienti che hanno proseguito il trattamento rispettivamente per 6 e 16 settimane.
“Bisogna capire per quanto tempo potrà essere somministrato il trattamento dal momento che si tratta di una formulazione a base di rame che può comportare problematiche di tossicità cronica alla cornea”, conclude Lombardo. “Attualmente i colleghi americani stanno lavorando al disegno di uno studio di Fase III ma necessariamente i tempi per avere un’idea dell’efficacia e della sicurezza di questa opzione saranno molto lunghi”.