Le approvazioni dei vaccini sono arrivate in tempi brevissimi e questo pone l’attenzione sulla mancanza dei dati clinici a lungo termine e su una questione etica
I risultati positivi a supporto dei vaccini ci sono e le autorizzazioni per l’uso di emergenza (Emergency Use Authorization, EUA) sono state fatte, ma una domanda sorge spontanea: chi ha partecipato agli studi clinici dovrebbe sapere se gli è stato iniettato il vaccino o il placebo? E le aziende dovrebbero offrire il vaccino a chi ha ottenuto il placebo durante la sperimentazione? Da un paio di mesi sono state diverse le riflessioni sul tema pubblicate sulle maggiori riviste scientifiche. La pressione per far avere il vaccino alle persone che hanno assunto il placebo – o almeno metterle a conoscenza della situazione – è alta, ma se troppe persone passassero al gruppo dei vaccini, le aziende potrebbero non avere dati sufficienti per stabilire i risultati a lungo termine.
I vaccini attualmente approvati per contrastare la pandemia di COVID-19 sono quello di Pfizer/BioNTech, già usato nel programma di vaccinazione in Italia, e quello di Moderna, mentre il vaccino prodotto da AstraZeneca è ancora in fare di attesa dell’approvazione della Commissione Europea. Pur avendo tutti e tre dimostrato un’elevata efficacia nella Fase III, ad oggi ancora non sappiamo se possono prevenire la trasmissione del virus da un individuo ad un altro e questo per due motivi: mancano i dati degli studi clinici sul lungo periodo, per capire se gli individui esposti al virus non solo non si ammalino, ma non lo trasmettano al prossimo; e ci sono ancora questioni in sospeso sul meccanismo di funzionamento a livello immunologico, che potrebbe richiedere un bel po’ di tempo per venire compreso a fondo. Proprio per questo motivo, gli studi proseguono e saranno necessari i dati a lungo termine per avere un quadro maggiormente definito della situazione.
Innanzitutto, è importante definire cosa prevede una autorizzazione per l’uso di emergenza (EUA). Come spiegato in un articolo sul tema pubblicato sul The New England Journal of Medicine, un EUA consente l'uso di prodotti medici non approvati (o usi non approvati di prodotti medici approvati) per diagnosticare, trattare o prevenire malattie o condizioni gravi o pericolose per la vita causate da agenti di minaccia, come COVID-19, in risposta a un'emergenza sanitaria pubblica dichiarata per la quale non esistono alternative adeguate, approvate e disponibili. Una guida sull’EUA per le vaccinazioni contro COVID-19 è stata pubblicata a ottobre 2020 dalla Food and Drug Administration (FDA) e raccomanda che i dati degli studi clinici di Fase III a sostegno di un EUA includano una durata mediana di follow-up di almeno 2 mesi dopo il completamento dell'intero regime di vaccinazione.
Quando si parla di sperimentazioni cliniche, le risposte più affidabili sulle terapie e sulle misure preventive provengono da studi randomizzati, in doppio cieco e controllati con placebo. Ciò significa che le persone coinvolte sono assegnate in modo casuale a ricevere il trattamento, in questo caso un vaccino, o un placebo, cioè una sostanza che non ha alcuna proprietà terapeutica. Inoltre, né loro né il loro medico sanno se fanno parte del gruppo che ha ricevuto il farmaco o il placebo. In molti studi, come ad esempio quelli per il cancro, si presume semplicemente che i pazienti che hanno ricevuto il placebo riceveranno il trattamento una volta completato lo studio. Questo passaggio è chiamato ‘crossover’ ed è motivo di ulteriore dibattito attorno all’argomento.
Una volta che un vaccino ha dimostrato di funzionare, diventa più difficile chiedere ai partecipanti di rimanere nel gruppo del placebo senza protezione: è anche una questione di etica. Però, se troppe persone fanno il crossover tra i due gruppi, gli studi potrebbero non avere gruppi di controllo sufficientemente grandi per raccogliere risultati statisticamente significativi per alcuni obiettivi a lungo termine, ad esempio la durata della protezione del vaccino e se l’iniezione previene l'infezione o solo la malattia. Un altro rischio da valutare è l’abbandono della sperimentazione: se una persona scoprisse di non aver ricevuto il vaccino, potrebbe decidere di lasciare il trial clinico. Per questo motivo, le aziende produttrici hanno proposto di offrire il vaccino anche ai volontari che hanno ricevuto il placebo.
Pfizer/BioNTech – come riportato in un recente articolo su STAT News - hanno annunciato di avere in programma di offrire il loro vaccino a qualsiasi volontario della sperimentazione clinica che abbia ricevuto il placebo entro il 1° marzo, diversi mesi prima di quanto inizialmente previsto. La Food and Drug Administration (FDA) e i suoi consulenti hanno insistito molto affinché i volontari rimanessero sul placebo il più a lungo possibile per raccogliere più dati sulla sicurezza e l'efficacia dei vaccini, mentre le aziende hanno sostenuto che i volontari dovrebbero ricevere i vaccini prima per motivi sia etici che pratici.
A dicembre, sulla rivista scientifica Science è stato pubblicato un articolo che riporta i diversi approcci e le proposte di aziende, specialisti e enti regolatori statunitensi. Un discorso complesso e con punti di vista spesso contrastanti, seppur con valide motivazioni a supporto di ognuno.
Qui potete trovare un recente aggiornamento sul tema e sulle migliori modalità di ricerca sui vaccini.