Un progetto di ricerca sostenuto dalla Fondazione Tettamanti e Menotti De Marchi di Monza esplora l’utilizzo delle CAR-T in uno studio clinico di Fase II ammesso al finanziamento del bando AIFA 2018 per la ricerca indipendente sui farmaci.
L’aspetto più emozionante della ricerca consiste nel fatto che rappresenta una perenne corsa all’evoluzione: idealmente il lavoro di un ricercatore non ha mai una conclusione perché tutto ciò che egli produce può essere smentito o migliorato da indagini successive. In questo senso anche prodotti straordinari e innovativi, come le terapie a base di cellule CAR-T , possono essere oggetto di studio al fine di migliorarne non solo l’efficacia ma anche la sicurezza, in modo tale da renderli più facile da produrre e utilizzare.
È questo ciò che sta cercando di fare un gruppo di ricerca tutto italiano impegnato nella realizzazione di uno studio clinico su pazienti adulti e pediatrici affetti da leucemia linfoblastica acuta (LLA) a cellule B, in recidiva o refrattaria dopo trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche. In particolare, i ricercatori italiani stanno studiando sia una nuova forma di CAR-T, che sfrutta i linfociti T detti CIK (Cytochine Indiced Killer) i quali posseggono una notevole attività antitumorale, che un’innovativa tecnica di trasferimento del materiale genetico all’interno degli stessi linfociti T la quale non implica l’utilizzo dei vettori virali ma dei trasposoni, elementi mobili capaci di inserirsi in siti diversi del DNA. È facile intuire che si tratta di un progetto di grande portata che ha partecipato al Bando AIFA 2018 per la ricerca indipendente sui farmaci ed è risultato tra i cinque protocolli ammessi al finanziamento, con un budget di circa 1,5 milioni di euro. Per il Bando AIFA 2018 all’Agenzia Italiana del Farmaco sono pervenute 105 proposte di studio, 68 delle quali hanno superato la fase di validazione preliminare e sono state ammesse alla valutazione da parte dei revisori internazionali in seguito a cui 53 progetti sono risultati idonei e, di questi, ai primi cinque è stato concesso il finanziamento.
I risultati della graduatoria approvata dal Consiglio di Amministrazione dell’AIFA confermano l’elevato grado di interesse collegato al campo dell’immunoterapia e, in particolare, alle terapie che sfruttano l’antigene chimerico CAR. La filosofia alla base della ricerca ammessa al finanziamento AIFA è ben riassunta in un articolo recentemente apparso sulle pagine della rivista Cells e firmato dalla dott.ssa Chiara Magnani e dalla dott.ssa Sarah Tettamanti, le ricercatici responsabili del progetto. Infatti, il procedimento di ingegnerizzazione dei linfociti T solitamente richiede l’utilizzo di vettori virali (retrovirus o lentivirus) per l’integrazione del materiale genetico che, oltre al vantaggio della versatilità e di un certo grado di sicurezza, hanno lo svantaggio di avere limitate potenzialità di carico e un certo grado di variabilità da lotto a lotto. Lo step evolutivo proposto dai ricercatori italiani si basa, invece, sull’utilizzo dei trasposoni, cioè di elementi genetici mobili in grado di inserirsi in vari punti del DNA. Grazie a un enzima specifico (la trasposasi) che opera alle estremità del trasposone è possibile l’inserimento del trasposone stesso a livello di una specifica sequenza di DNA e senza la necessità di omologia tra le le estremità dell’elemento e il sito dell’inserzione.
Nella review di Cells - dove sono indicate anche le tre classi di trasposoni conosciute - si fa riferimento alla strategia nota come “Sleeping Beauty” (La bella Addormentata) la quale, come si evidenza in un articolo pubblicato su The Journal of Clinical Investigation, è al centro della ricerca vincitrice del Bando AIFA. Infatti, una collaborazione tra i laboratori di ricerca della Fondazione Tettamanti di Monza e l’Unità di Ematologia dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo ha permesso l’avvio di uno studio clinico di Fase I/II che prevede l’arruolamento di 18 pazienti (sia adulti che pediatrici) affetti da LLA a cellule B recidivante o refrattaria, già sottoposti a trapianti di cellule ematopoietiche, i quali saranno trattati con una singola dose di una terapia sperimentale basata su cellule CARCIK-CD19 ingegnerizzate proprio grazie all’uso dei trasposoni. Scopo dello studio è valutare la tossicità dose limitante (TDL) del trattamento e comprenderne a pieno gli eventuali eventi avversi, tra cui la sindrome da rilascio delle citochine, che potrebbero incidere in maniera pesante sulla terapia.
Il progetto è coordinato dai prof. Alessandro Rambaldi di Bergamo, per la sua conoscenza delle cellule CIK, e del prof. Andrea Biondi di Monza. Nell’articolo pubblicato su The Journal of Clinical Investigation si può osservare come nei primi 4 pazienti pediatrici e 9 adulti trattati le CARCIK siano state ben tollerate senza che sia stato possibile osservare la cosiddetta Graft Versus Host Disease (GVHD, malattia acuta da rigetto) che spesso subentra nei pazienti sottoposti a trapianto allogenico. Sei dei 7 pazienti che hanno ricevuto la dose maggiore di trattamento hanno ottenuto una risposta completa e le indagini svolte in follow-up hanno dimostrato la permanenza dei linfociti T modificati fino a 10 mesi. Questi risultati, uniti a un buon profilo di sicurezza (non bisogna dimenticare che le CIK provengono da un donatore e non dal paziente stesso come le altre CAR-T), depongono per un promettente utilizzo futuro delle terapie che sfruttano i trasposoni, le cui procedure di preparazione sono più brevi e meno complesse di quelle basate sui vettori virali.
Il protocollo approvato dagli enti regolatori italiani e finanziato dall’AIFA continuerà ad arruolare pazienti pediatrici e adulti e, se i risultati saranno confermati, costituirà un’ulteriore ed evidente prova che anche prodotti della ricerca più incredibili e futuristici come le CAR-T possono essere migliorati in un processo continuo in cui quello che sembra un traguardo di arrivo si rivela, in realtà, un nuovo punto di partenza.