• È in corso presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma uno studio clinico ideato per studiare l'uso precoce di ivabradina in pazienti, di età compresa tra i 6 mesi e i 18 anni, con cardiomiopatia dilatativa e frazione di eiezione (EF) inferiore al 45%.

    La cardiomiopatia dilatativa pediatrica è una malattia molto rara e può avere origine da un difetto genetico ma anche essere una conseguenza di infezioni virali, anche piuttosto comuni in età pediatrica. “È una malattia molto seria in questa fascia di età, infatti sia il rischio di mortalità che quello di ospedalizzazione sono molto più elevati rispetto alla popolazione adulta. Questi giovani hanno come unica prospettiva di guarigione il trapianto di cuore ma in un contesto come quello italiano in cui le donazioni d’organo sono molto limitate, è realmente complesso trattare questi pazienti.”È il commento della dott.ssa Rachele Adorisio, responsabile della Unità Operativa Semplice Terapie Cardiovascolari Avanzate, Dipartimento di Cardiologia, Cardiochirurgia e Trapianto cuore-polmone, IRCCS Bambino Gesù e responsabile dello studio “Early Administration of Ivabradine in Children With Heart Failure (EASI-Child)” registrato con codice identificativo NCT04405804.

    Lo studio, indipendente e senza scopo di lucro, è stato ideato, metodologicamente sviluppato e finanziato dall’ospedale pediatrico Bambino Gesù con un contributo parziale, pari ad un terzo, del Ministero della salute attraverso fondi dedicati alla ricerca.

    È quantomai necessario oggi sostenere la ricerca indipendente, una ricerca ritagliata sul paziente. In questo specifico contesto, poi, la ricerca clinica è fondamentale perché pur trattandosi di una patologia ad alto rischio di morte si hanno pochissime evidenze a livello di studi clinici. Le stesse indicazioni ormai consolidate nella popolazione adulta, come quelle sui Beta-bloccanti, non sono direttamente trasferibili in questi giovani pazienti.”

    Il tema della ricerca pediatrica e delle difficoltà ad essa connessa emerge con forza anche quando si utilizza un marker biologico apparentemente semplice come la frequenza cardiaca “Lo scopo di questo studio è quello di valutare se intervenire su un marker biologico così facilmente misurabile come la frequenza cardiaca, possa aiutare a migliorare la prognosi. Negli adulti le evidenze cliniche hanno mostrato che questo è vero e si può abbattere il rischio relativo di morte di un punto percentuale per ogni battito medio ridotto. Nei bambini però tutto è più complesso perchè la frequenza cardiaca non solo è di per sè più alta ma è differente per fascia di età. Pediatrico infatti vuol dire neonato, bambino, adolescente, una variabilità enorme che rende difficile determinare un unico valore di riferimento”.

    Oltre alla definizione dei valori clinici, la ricerca pediatrica sconta anche una maggiore difficoltà per la mancata disponibilità dei farmaci, come in questo caso per cui “questo studio è nato con l’utilizzo in “off-label” dell’ivabradina, il cui utilizzo è riconosciuto per l’età pediatrica dalla FDA ma non ancora dall’AIFA.”

    Il farmaco di riferimento per questa ricerca è un bradicardizzante specifico: l’ivabradina. Questo è un inibitore selettivo dei canali funny del potassio (If del potassio) capace di bloccare selettivamente la corrente If, un importante meccanismo di controllo del ritmo cardiaco, senza interferire su altri tipi di regolazione. Ivabradina ha quindi dimostrato di riuscire a diminuire la frequenza cardiaca aumentando al contempo la gittata cardiaca.

    Lo studio, di fase 2, è definito pilota “anche per rafforzare il profilo di sicurezza che in questo caso è dato proprio dal marker biologico della frequenza cardiaca. Infatti l’arruolamento è scaglionato in base al numero di eventi avversi osservati nei primi 4 pazienti, per poi procedere di 2 in 2 in assenza di eventi.

    La misurazione degli obiettivi prevede primariamente la valutazione della risposta sulla frequenza cardiaca dopo 14 giorni di terapia stabile con ivabradina e  secondariamente all’analisi dello stesso parametro a tempi successivi. Inoltre saranno valutati una serie di parametri clinico-fisiologici relativi alla funzionalità cardiaca.

    Lo studio clinico è stato avviato nel maggio 2020 ed è ancora attivo e aperto al coinvolgimento dei giovani pazienti, con un età compresa tra i 6 mesi e i 18 anni, presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. 

    Secondo la scheda informativa della ricerca, possono partecipare allo studio i pazienti con:

    • Cardiomiopatia dilatativa definita secondo le indicazioni della Cardiomyopathy Task Force (dilatazione > 2 Deviazioni Standard (DS) e ipocinesia);
    • Classe NYHA / Ross ≥ II;
    • Frazione di eiezione < 40%;
    • Pazienti con episodi di insufficienza cardiaca acuta (sia nuovi episodi che recidiva) negli ultimi tre mesi;
    • Pressione arteriosa sistolica > 50° età e altezza;
    • Frequenza cardiaca: 6-12 mesi: ≥105 bpm, >1 anno <3 anni: ≥95 bpm, 3-5 anni: ≥75 bpm, 5-18 anni: >70 bpm.

    Esistono anche una serie di criteri che non consentono di partecipare a questa sperimentazione, come:

    • Shock cardiogeno nei tre mesi;
    • Cardiomiopatia ipertrofica, restrittiva o mista;
    • Miocardite linfocitica acuta diagnosticata con biopsia endomiocardica;
    • Patologia valvolare significativa ed altri.

    Qualora si fosse interessati alla sperimentazione è possibile contattare il centro di ricerca scrivendo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. per accedere ad una valutazione medica approfondita del proprio caso.

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