L’interruzione dello studio di Fase III Generation HD1 ha provocato uno scombussolamento nella Comunità Huntington ma da un fallimento possono giungere conoscenze importanti per ottenere nuovi futuri successi. Lo spiega Marco Pacifici (Roche).
La comprensione di quanto sia importante l’identificazione di un gene per una malattia rara si esplica nel novero delle terapie che per questa si possono sviluppare a partire dalla conoscenza dei geni coinvolti. Perciò, l’entusiasmo per la scoperta del gene associato alla malattia di Huntington - avvenuta all’inizio degli anni ’90 grazie al lavoro di Nancy Wexler e dei suoi colleghi sulle sponde del Lago Maracaibo - si è tradotto nell’apertura di nuove frontiere della medicina contro questa patologia neuro-degenerativa: una su tutte è quella degli oligonucleotidi antisenso (ASO), farmaci che, legandosi in maniera complementare all’RNA messaggero (mRNA) contenente le informazioni per la produzione di una data proteina, lo degradano. Il risultato è che la proteina in questione non può più essere prodotta.
Il più noto farmaco appartenente da questa categoria è nusinersen, approvato per il trattamento dell’Atrofia Muscolare Spinale (SMA) e che agisce modificando lo splicing del pre-mRNA, portando ad una maggior sintesi della forma funzionale della proteina SMN. Così i ricercatori hanno pensato che, se da un lato è possibile aumentare la sintesi di una proteina, dall’altro è forse possibile diminuirne l’espressione. Quest’ultima è la filosofia d’azione adatta ad affrontare la malattia di Huntington, nella quale le mutazioni scatenanti la patologia (che consistono nella ripetizione della tripletta CAG nel gene per l’huntingtina) determinano la produzione di una forma tossica della proteina huntingtina, la cui presenza nell’organismo provoca i sintomi motori, cognitivi e psichiatrici dei quali sono vittime i pazienti. Negli anni i ricercatori hanno cercato diverse soluzioni per ridurre i livelli di huntingtina e l’approccio terapeutico basato sugli ASO si è rivelato un’elegante strategia potenzialmente utile per ottenere un tal risultato. Tanto da portare allo studio di fase III GENERATION HD1, nel quale è stato testato il farmaco noto come tominersen (RG6042). Purtroppo però, tale studio ha subito una brusca interruzione della somministrazione di tominersen in seguito alle prime valutazioni eseguite da un Comitato Indipendente di Monitoraggio dei Dati (iDMC).
GENERATION HD1 è un trial clinico di Fase III con l’obiettivo di valutare l’efficacia e la sicurezza della somministrazione per via intratecale di tominersen in pazienti con malattia di Huntington cosiddetti early-manifest, quindi con una sintomatologia lieve”, spiega il dott. Marco Pacifici, Rare Conditions Partner di Roche Italia. “La sperimentazione prevede due regimi posologici con dose fissa a 120 mg rispetto al placebo: tominersen una volta ogni due mesi (otto settimane) o una volta ogni quattro mesi (16 settimane). Il meccanismo d’azione di tominersen consente di ridurre l’huntingtina, agendo a livello del pre-mRNA e abbassando l’espressione del trascritto, così da ottenere una riduzione dei livelli sia della proteina mutata che wild-type”. L’entusiasmo dei ricercatori era motivato anche dai risultati dello studio di fase I/IIa pubblicati sulla rivista The New England Journal of Medicine che dimostravano come una parziale riduzione di huntingtina nel corso della vita dei pazienti fosse ben tollerata. Tuttavia, sulla base di una valutazione complessiva del profilo beneficio-rischio di tominersen a 17 mesi (settimana 69) dall’inizio dello studio di Fase III, l’iDMC ha raccomandato di interrompere il dosaggio in entrambi i bracci del trial clinico GENERATION HD1.
Nello studio, la progressione della malattia è stata monitorata tramite scale funzionali come la TMS (Total Motor Score) e la cUHDRS (composite Unified Huntington Disease Rating Scale) per la valutazione delle capacità motorie, cognitive e comportamentali dei pazienti arruolati. “In termini di efficacia, le analisi preliminari di GENERATION HD1 non mostrano alcun miglioramento clinicamente significativo nei pazienti trattati con tominersen a 8 e 16 settimane rispetto al placebo”, afferma Pacifici. “I dati raccolti si riferiscono ad un campione rappresentativo del 60% di pazienti che avevano effettuato la study visit alla settimana 69 (17 mesi). Gli outcome measures analizzati nei bracci trattati con 120 mg di tominersen a 8 e 16 settimane sono in linea con un pattern di progressione di malattia”. Ciò ha indotto la casa farmaceutica a sospendere la somministrazione di tominersen non solamente nello studio GENERATION HD1 ma anche nello studio clinico in aperto GEN-EXTEND nel quale era previsto l’arruolamento di oltre 1000 pazienti. In ogni modo, entrambi gli studi continueranno senza somministrazione del farmaco con l’obiettivo di continuare a monitorare tutti i partecipanti dal punto di vista della sicurezza ed efficacia.
“GENERATION HD1 ha arruolato un totale di 791 pazienti in circa 20 Paesi coinvolgendo oltre 100 centri clinici in tutto il mondo”, spiega ancora Pacifici. “Si tratta di una sfida mai lanciata in precedenza con la quale Roche aveva avviato un programma di sviluppo clinico sulla malattia di Huntington senza eguali per numero di pazienti arruolati. Grazie alla dedizione e all’impegno dei partecipanti allo studio, delle loro famiglie, dei ricercatori e dei centri clinici coinvolti nei nostri studi, siamo certi che il programma di sviluppo clinico di tominersen darà alla luce una grande quantità di dati che contribuiranno ad avanzare significativamente nella ricerca clinica contro la malattia di Huntington, fornendoci ulteriori elementi nella comprensione della strategia terapeutica di riduzione dell’huntingtina come potenziale approccio terapeutico per l’intera Comunità HD. Con questo obiettivo, ci stiamo impegnando ad acquisire e analizzare i dati aggiuntivi con urgenza, in modo da poter condividere quanto prima i risultati con tutta la Comunità HD”.
“Purtroppo ricerche così innovative rischiano di passare anche attraverso cocenti delusioni, ma da queste possiamo solo imparare e ripartire con l’obiettivo di verificare nuove ipotesi”, conclude Pacifici. “In questa fase, soltanto un’attenta analisi dei dati ci consentirà di comprendere le motivazioni che hanno condotto a questa inaspettata battuta d’arresto, che consideriamo imprescindibile per acquisire una maggiore conoscenza sugli attuali approcci terapeutici”.